Andare in bici non è ciclismo
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di Mario Garcia, pubblicato su biciclub.com

 

Uno degli ostacoli alla crescita dell’uso della bicicletta come mezzo di trasporto è che viene considerata come una forma di esercizio fisico e non come un mezzo di trasporto.  Gran parte della popolazione in Paesi come il nostro, legati alla cultura dell’automobile,  percepisce coloro che vanno in bicicletta quasi come atleti estremi, vestiti in abiti sintetici, casco e scarpe speciali, sfreccianti ad alta velocità tra le automobili, sempre al limite dell’incidente fatale.
In realtà molti degli “avvocati” di questa nobile causa corrispondono a questo archetipo, con il quale spaventano la maggior parte delle persone, che potrebbero invece essere interessate alla bici solo per i loro tragitti quotidiani e non per un uso sportivo.

 

E’ come se i professionisti del “running” cercassero di convincere le persone sui benefici del camminare a piedi. E’ bello che il corridore ami il suo lo sport e che il ciclista possa godere dell’aspetto sportivo della bicicletta, ma si convenga che questa non è una buona tecnica di marketing.

 

Questa visione della bicicletta come ciclismo, o come un esercizio, piuttosto che come mezzo di trasporto, rafforza la convinzione di molti che, oltre ai rischi della strada, essa li condurrà al lavoro o a scuola o a qualsiasi altra destinazione urbana completamente sudati. Così, pensano, usare la bici comporta la seccatura di doversi portare un cambio di vestiti e fare una doccia raggiunta la destinazione. Tanto che in alcune città nord-americane si chiede alle aziende docce ed armadietti per i dipendenti che vanno al lavoro in bicicletta.

Tutte queste cose non fanno altro che rafforzare l’idea del ciclismo come sport.

 

Nelle città europee dove la bici viene utilizzata massicciamente, anche per andare ad una serata di gala all’Opera, niente docce e armadietti in nessun posto! Per i danesi, gli olandesi, svedesi o tedeschi nelle città completamente ciclabili, la bicicletta non è un modo per “bruciare calorie”, ma semplicemente una modalità di muoversi più veloce dell’andare a piedi, comunque più veloce per andare da un punto all’ altro della città, quasi altrettanto economico del camminare. E’ una questione di convenienza, pratica e concreta, non è una questione astratta di salute personale o di riscaldamento globale.

 

Un altro ostacolo alla diffusione dell’uso della bicicletta nelle nostre città sono le abitudini ed i pregiudizi “automobilistici” radicati nella coscienza delle persone, inclusi coloro che non possiedono un’auto, inclusi molti ciclisti. Le automobili restano il paradigma del trasporto e, in ultima istanza, per loro si fanno le strade urbane, si stabiliscono regole e le convenzioni. Ad esempio, si “obbliga” chi va in bicicletta a mantenersi all’estrema destra della carreggiata, a fianco delle auto parcheggiate, sottoponendo l’enorme rischio di apertura improvvisa delle porte.

 

E quando si costruisce un’infrastruttura per la bicicletta, lo si fa secondo il “paradigma automobilistico”, senza ripensare alla questione da zero, come dovrebbe essere. La bicicletta non può essere un “intruso” non invitato alla festa dell’automobile. Per implementare infrastrutture ciclistiche si deve prima rivedere la questione della mobilità da una nuova prospettiva, considerando tutti gli attori su un piano di parità in termini di diritti e doveri.

 

Questi pregiudizi spesso ci portano a dire che “non c’è posto per aggiungere un’altra protagonista della mobilità in città affollate di automobili”, con le vie strette. Tuttavia, basta guardare l’esempio delle città europee menzionate in precedenza, molte con trame medievali e stradine anguste nel centro, che non hanno impedito alla bicicletta di affermarsi come il principale mezzo di trasporto, liberando spazio.  “Non abbiamo spazio per la bicicletta” è una frase che dovrebbe essere vietata ai progettisti del traffico urbano. Lo spazio è lì. Chiedere vie ciclabili è possibile, e molte città l’hanno dimostrato.

 

Quindi, come fare in modo che l’uso della bicicletta sia sicuro e conveniente? Una delle chiavi sono i sistemi di bike-sharing che fioriscono attualmente in molte grandi città. E più piste ciclabili. La gente fa una prima esperienza, prende una bicicletta per un breve tragitto e circola sulle piste ciclabili. Se l’esperienza è stata buona e il risultato conveniente è molto probabile che queste persone a poco a poco finiscano per acquistare una bicicletta e ad utilizzarla quotidianamente, liberando le strade da una macchina o lasciando libero un posto in un mezzo di trasporto pubblico.

Le nostre città non devono reinventare la ruota, solo imitare ciò che le città ciclabili europee han fatto.

 

 

Commento di Stefano Gerosa

 

Sin da quando ho cominciato a pedalare, per muovermi in città, mi sono scontrato con una mentalità che vedeva l’uso della bicicletta come qualcosa di “sportivo”. Io, che tra l’altro sportivo proprio non lo ero, contestavo questa idea, affermando che si trattava di un mezzo di trasporto sano ed ecologico per tutti.

 

Che fastidio, oggi come allora, mi danno i giornalisti nostrani quando parlano dei ciclisti urbani come di “appassionati” (come se chi va al lavoro in auto o in bus si potesse definire appassionato dell’auto o dell’autobus!).

 

Devo confessare però che un po’ di “passione” effettivamente mi è saltata addosso, scoprendo dopo l’uso urbano della bici anche il cicloturismo. Ma non ho cambiato idea, sono sempre stato un ciclo-viaggiatore tranquillo, vestito abbastanza “casual” (salvo i pantaloncini da ciclista che ho scoperto molto comodi). Anche qui ho dovuto subire un po’ di fastidio, quando la gente incontrata per strada, seppur simpatica, si mette a parlare con me di ciclismo sportivo, dando per scontato che ne faccio parte. Ho sempre spiegato gentilmente che del Giro d’Italia non ne sapevo nulla, non lo seguivo proprio … semplicemente mi piace andare in bicicletta …

 

Su Facebook i “ciclistas furiosos” cileni hanno segnalato un bel articolo di Mario Garcia sul sito argentino biciclub.com. “Andare in bicicletta non è ciclismo” !!… ma è quel che penso io, mi son detto.  Bella sintesi! L’ho tradotto e ve lo ripropongo, visto che, epurato da qualche breve riferimento alla situazione sud-americana, va benissimo anche per il nostro Paese (e non solo, recentemente anche l’ADFC, l’associazione tedesca sorella a FIAB nella Federazione Europea dei Ciclisti – ECF, denuncia dal proprio sito il problema dell’immagine stereotipata del ciclista urbano in tutina di licra, un’immagine da superare … è ciclista chiunque usa una bicicletta dice l’ADFC, sia un professionista in giacca e cravatta, una ragazza in rosa o un agguerrito mountain-bikers.