di Mariella Berti
Una straordinaria avventura di una donna alla conquista della libertà fu quella di Anne Londonderry Kopchovsky. Ebrea lettone, emigrata negli Stati Uniti, sposata e madre di tre bambini, diventò un simbolo della libertà femminile perché fu la prima donna a fare il giro del mondo in bicicletta, sfidando i pregiudizi. Nel giugno del 1894, all’età di ventitré anni, in seguito a una scommessa (“nessuna donna è in grado di compiere in quindici mesi il giro del mondo”) abbandonò la famiglia, lasciando nel guardaroba le gonne lunghe e i corsetti e partì da Boston in bicicletta e arrivò in Cina passando per Parigi, Gerusalemme e Singapore, superando incredibili difficoltà e sopportando innumerevoli calunnie (“troppo mascolina per una donna”, “deve essere un eunuco travestito”) e persino la prigione. Al suo ritorno in patria ebbe un’accoglienza trionfale e venne eletta simbolo della lotta femminile.
Susan B. Anthony, avvocato americano per i diritti civili e uno dei simboli del XIX secolo del movimento per l’emancipazione femminile, nel 1896, ebbe a dire: “Lasciate che vi dica cosa penso dell’andare in bicicletta. Penso che la bici abbia fatto per l’emancipazione delle donne di più di ogni altra cosa al mondo. Dà alle donne la sensazione di libertà e di completa autonomia. Gioisco ogni volta che vedo in giro una donna pedalare… immagine senza ostacoli della libera femminilità.”
Nel 1898 anche Emile Zola intravedeva nella bicicletta uno strumento per superare la discriminazione tra i sessi. Tante le barriere che erano ancora da abbattere e tanti ancora gli ostacoli da superare. La bicicletta che era considerata uno strumento del demonio, se inforcata da gambe femminili, ben presto si trasformò per le donne in un simbolo di libertà, di emancipazione, garantendo la possibilità di muoversi al di fuori dei rigidi confini della propria dimora e lontano dal severo controllo degli sguardi altrui.
La conquista è stata lenta e faticosa, pur segnata da eventi epocali: la sfilata di agili fanciulle in occasione della riunione ciclistica organizzata a Ferrara nel 1902 dal Touring Club Italiano, oppure le imprese di alcune cicliste come Alfonsina Strada (unica donna che partecipò al Giro d’ Italia e questo nell’edizione del 1924) e Adelina Vigo, rivali di tutto rispetto nelle corse riservate al sesso forte.
La prima rivoluzione del Dopoguerra si realizzò quando le donne, abbandonata la reticella di protezione alla sottana e indossando i pantaloni, prendono tranquillamente la bici del fratello o del marito.
Per qualcuno ovviamente pantaloni e bicicletta era ancora una combinazione pericolosa. Si riteneva che indossare i pantaloni avrebbe reso le donne dei maschiacci, le avrebbe private della giusta femminilità o le avrebbe fatte diventare lesbiche, portate spesso a stare fuori casa, inducendole con più probabilità al tradimento o peggio a condurre una vita di facili costumi, e addirittura invogliate alla masturbazione, tesi quest’ultima sostenuta anche da alcune riviste di mediche.
Dal desiderio delle suffragette di avvicinarsi al ciclismo che i pantaloni si sono affermati definitivamente come capo d’abbigliamento unisex. Un altro modello era conosciuto come “split skirts“, una particolare gonna con il cavallo adatta per le attività sportive, come l’equitazione ed il ciclismo.
La bicicletta disponibile alle donne offre un senso di liberazione ed è un risparmio di tempi negli spostamenti: velocità pari a circa quattro volte dell’andatura a piedi. La bicicletta è simpatica. L’evoluzione della bicicletta si concretizza dalle prime da donna (fino alla famosissima ‘Graziella’), ai tandem, alle biciclette da corsa, usate dalle prime esponenti del movimento femminista, alle partigiane e oggi, nella quotidianità nelle nostre città, nel cicloturismo nonché nelle gare sportive. La bicicletta che era considerata uno strumento del demonio, se inforcata da gambe femminili, si trasformò per le donne in un simbolo di libertà, di emancipazione, garantendo la possibilità di muoversi al di fuori dei rigidi confini della propria dimora e lontano dal severo controllo degli sguardi altrui.
Quasi 150 anni dopo, la bicicletta ancora non ha esaurito la propria forza emancipatrice nei confronti del genere femminile e le parole della Anthony sono ancora cariche di valore. Ne è la dimostrazione “la bicicletta verde” di Haifaa Al-Mansour, prima regista donna dell’Arabia Saudita, film che ha come la protagonista Wadjda col suo desiderio di possedere una bicicletta, proprio quella verde, il colore dell’Islam, vista in un negozio vicino a casa. E questo in un paese dove alle donne è vietato circolare a viso scoperto, guidare un’automobile, rimanere sole con un uomo che non sia di famiglia e persino andare in bicicletta.
Sarà stato l’effetto film, le donne saudite hanno ora il diritto di andare in bicicletta. In quel Paese è una conquista storica. L’autorità religiosa dell’Arabia Saudita ha annunciato che le donne potranno andare in bici sulle strade pubbliche, in zone limitate come parchi e zone ricreative e solo se indossano l’abaya, la tradizionale veste nera che le copre dalla testa ai piedi nonché rigorosamente accompagnate da un parente. “Le donne – scrive il quotidiano saudita al-Yaum, citando una fonte della commissione per la Promozione della virtù e la Prevenzione del vizio – sono libere di andare in bici nei parchi, sul lungomare e in altre aree a condizione che indossino abiti modesti e che sia presente un guardiano in caso di cadute o incidenti”.
La stessa commissione ha precisato di non aver mai vietato la bicicletta alla donne straniere. Per quanto riguarda quelle saudite invece il permesso si limita allo scopo “di divertimento”, non dovranno cioè usare le due ruote come mezzo di trasporto.
E’ evidente che la bici non è solo un oggetto a due ruote, due pedali, catena e pignoni: la bici è cultura che ci permette di guardare oltre ogni esasperazione e di recuperare certi valori innegabili e da rivalutare.
Altre notizie su questo argomento in un recente articolo in lingua inglese: http://momentummag.com/three-women-changed-course-history-bicycle/
Un pensiero inviato pochi giorni fa dalla Presidente FIAB a tutte le socie A pochi giorni dalla Festa della donna, il mio pensiero va a tutte le donne FIAB.
Un abbraccio Giulietta Pagliaccio |