Biciclette non convenzionali: condivise (bike sharing) ed elettriche – Intervista a Giorgio Ceccarelli
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Di seguito la 9° intervista nell’ambito dell’iniziativa #ChiediloaFiab, a Giorgio Ceccarelli, sulla tesi n° 11 “Biciclette non convenzionali: condivise (bike sharing) ed elettriche“, la nona delle 11 tesi congressuali discusse al Congresso Nazionale di Arezzo. Come anticipato, anche per la settima intervista (tesi n°4), la settimana prossima, è possibile inviare le domande per mail all’indirizzo chiediloafiab@fiab-onlus.it, oppure attraverso FacebookTwitter e Google Plus. L’argomento della tesi numero 11 è “Le scelte urbanistiche“, intervista a Paolo Fabbri. [Si prega di inviare domande attinenti all’argomento].

 

Quali sono i migliori modelli di bike sharing in Italia e all’estero? In cosa si contraddistinguono?

In Italia abbiamo almeno due sistemi che funzionano discretamente su grandi città, Milano e Torino. Esistono poi moltissimi altri sistemi in territori medio piccoli: alcuni funzionano e sono apprezzati, altri stanno in una specie di limbo. Si può notare come, sia in Italia che all’estero, ci sia ormai un’offerta abbastanza differenziata da parte di vari produttori: Milano e Torino ad esempio sono stati realizzati da due diverse società (Clear Channel e Bicincittà) e funzionano entrambi. Quello che determina la riuscita di un sistema è quindi ormai, più che l’hardware, tutto quello che ci sta attorno: la presenza di percorsi ciclabili sicuri, l’immagine con cui il sistema viene presentato, il modo in cui vengono coinvolti e informati i cittadini. Soprattutto importanti sono le modalità di gestione, che determinano il modo in cui viene mantenuto il servizio, che deve essere sempre efficiente ed attrattivo.

 

Il bike sharing di Roma è stato un caso eclatante di fallimento. Per quali ragioni?

Penso che a Roma si siano sommate buona parte delle negatività a cui può andare incontro un BS: poche stazioni di prelievo e poche biciclette rispetto ad un territorio molto vasto, scarsa manutenzione con un rapido degrado del sistema, mancanza di percorsi sicuri. La cosa grave, oltre ai soldi buttati via, è che il fallimento di un BS ha effetti devastanti per le politiche a favore della ciclabilità.

 

E’ verosimile pensare ad un bike sharing elettrico per Roma vista la sua orografia?

Ho una esperienza diretta con il bike sharing elettrico di Genova, dove vivo, che è stato il primo tentativo in questo senso, su una città con una orografia difficile, per certi versi simile a Roma. L’esperienza è stata disastrosa: tra i vari motivi del fallimento c’è stato anche il pesante costo della manutenzione e della sostituzione, quando necessaria, delle bici elettriche. Di per sè il bike sharing è un sistema piuttosto oneroso che richiede investimenti importanti, anche se poi in apparenza sembra tutto semplice. Sommare ad una cosa costosa una cosa ancor più costosa come la bici elettrica è una follia, almeno per lo stato attuale delle nostre risorse e per la scarsa evoluzione della tecnologia elettrica. Meglio lasciar perdere. Se proprio si vuole dare alla città delle bici elettriche conviene sfruttare il sistema più tradizionale del noleggio, dove il mezzo può essere controllato ogni volta da un operatore: è meno affascinante, ma per ora funziona meglio.

 

Sicilia e Puglia sono le regioni che hanno ottenuto maggiori finanziamenti dal bando “Bike sharing 2010”. Sono stati impiegati bene quei soldi? Quali sono i criteri di assegnazione dei fondi?

Non conosco bene gli esiti del bando del 2010, che in molti casi è ancora in via di attuazione e di cui non esiste una rendicontazione. Personalmente ritengo che il bando sia stata un’enorme sciocchezza, esattamente per i motivi che dicevamo prima: ha spinto moltissime piccole Amministrazioni, già carenti di risorse, ad affrontare l’impegno del bike sharing con bici elettriche, di cui non riusciranno a mantenere una corretta gestione.

 

Dopo quanto tempo un Comune riesce ad ammortizzare le spese per la realizzazione del bike sharing?

Mai, se pensiamo che l’ammortizzo derivi dai soldi pagati da chi lo usa. Per funzionare un BS ha bisogno di scambi rapidi delle biciclette fra gli utenti: per ottenere questo la prima mezz’ora o la prima ora è quasi sempre data a titolo gratuito, quindi chi si muove in città su percorsi brevi di solito non paga l’uso della bici (se non per l’iscrizione al servizio). In genere i ricavi derivano dal fatto che i Comuni concedono spazi pubblicitari in cambio della realizzazione del sistema: ma questo con la bici c’entra poco, vengono dati spazi che avrebbero comunque un loro valore, indipendentemente dal BS. E poi gli spazi pubblicitari hanno valore solo per le città più grandi, i piccoli Comuni devono arrangiarsi.

 

Saresti favorevole ad un finanziamento del bike sharing da parte dei privati, come avviene a Londra con la banca Barclays?

Personalmente si, anche se come sempre ci sono posizioni differenti. A Londra la presenza di Barclays è particolarmente evidente, ma tutti i sistemi per funzionare hanno bisogno delle risorse di un privato che in cambio ottiene una pubblicità diretta (come a Londra) o indiretta con i diritti sugli affitti di spazi pubblicitari.

 

Quali sono le normative europee che regolano la caratteristiche delle bici elettriche? E’ vero che i produttori internazionali fanno pressione sulla politica europea per avere normative meno restrittive (limiti di velocità e potenza)?

Le norme sono attualmente abbastanza restrittive ma a mio parere assolutamente ragionevoli: in sostanza impongono il limite massimo dei 25 km/ora e dei 250 watt di potenza per poter avere l’aiuto del motore elettrico; se uno vuole di più ci deve mettere la sua gamba. Le proposte di modifica sono varie e comunque prevedono il superamento di questi limiti, introducendo anche la presenza di una sorta di acceleratore al manubrio, come nelle moto. Già ora se ne vedono alcune di importazione, non omologate: si riconoscono dal fatto che chi sta in sella non pedala. A me sembra che così si vada un po’ a perdere la peculiarità dell’andare in bici, a favore di un atteggiamento più “da moto”. E questo non è solo un problema per me che con la bici sono un po’ fissato, ma potrebbe causare problemi di sicurezza nelle zone pedonali o sui percorsi ciclabili, finirebbe per tirarsi dietro nuovi divieti, magari caschi e assicurazioni … Insomma il rischio è che per andare un po’ più forte si perda il bello dell’andare in bici e sentirsi liberi e felici. Se i produttori vogliono ampliare il loro mercato, è meglio che si dedichino a perfezionare la tecnologia delle bici elettriche attuali.

 

Sulla sostenibilità delle bici elettriche, il problema principale è lo smaltimento delle batterie e l’aumento del fabbisogno energetico. Quindi non può essere una soluzione la bici elettrica?

Ci sono dei limiti oltre i quali è meglio non si diffonda? Assolutamente no: è solo un problema di migliorare la tecnologia, avere batterie più efficienti e bici che sfruttino al meglio un’energia da produrre in modo sostenibile. La bicicletta è di per sè un oggetto geniale, che ha bisogno di poca energia perché ha una efficienza altissima; basta non volerla far diventare una moto, come dicevamo prima. A quelli che abitano in pianura è difficile farlo capire, ma per città come Roma o come Genova la bici elettrica può essere veramente la soluzione giusta per il futuro.

 

Giorgio Ceccarelli, consigliere Nazionale F.I.A.B. e responsabile per le tematiche del bike sharing.

 

Alessandro Micozzi