La «Pista ciclabile» è un ingrediente, noi vogliamo la torta!
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Alcune formazioni politiche hanno pensato di intercettare il voto dei ciclisti urbani inserendo nel loro programma la solita litania delle “piste ciclabili”.  Non hanno ancora capito che questo è miglior modo di NON prendere i nostri voti. Bustine di zucchero o ciliegine ci han dato la nausea. La “Pista ciclabile” è solo un ingrediente della mobilità ciclistica. Certo un ingrediente essenziale, ma noi vogliamo mangiare la torta.

 

di Stefano Gerosa

 

“Mobilità dolce”? Servono diversi ingredienti, nelle giuste dosi, cuocere a fuoco “lento”. Impensabile usare solo lo zucchero o … solo la ciliegina.

 

L’esempio della torta non è mio. E’ di Eugenio Galli che, riferendosi alla ricetta per la “mobilità ciclistica”, criticava l’idea che le piste ciclabili fossero l’unico ingrediente necessario. Già .. qualche bustina di “zucchero”, ovvero le ciclabili, quasi un chiodo fisso nella mente di chi, magari in buona fede, si pronuncia in materia (amministratori, giornalisti ma anche associazioni di ciclisti). A volte sembra quasi che siano un qualcosa di fine a se stesso.

 

Invece è sbagliato contare i chilometri di ciclabili per dire se una città è “a misura di bici”. Quel che conta è il numero di cittadini che effettivamente usa la bici. Se molti già lo fanno spontaneamente per i suoi vantaggi economici, il risparmio di tempo, ecc. è compito delle Amministrazioni locali incentivarne ulteriormente l’uso, facendo leva su diverse “facilities” (tutto ciò che rende la vita più facile ai ciclisti urbani) e soprattutto sulla sicurezza e qualità dei tragitti urbani (e, perché no? anche sulla loro piacevolezza). E non sono solo le piste ciclabili a garantire il raggiungimento di questo obiettivo.

 

Conta poi anche la qualità; ingredienti scadenti rovinano le migliori ricette. E’ fonte di frustrazione per il ciclista italiano, che magari ha pedalato su ottimi percorsi in nord-Europa, constatare che in Italia le “ciclabili” (o gli obbrobri spacciati per tali), sono spesso realizzate “da cani”: pertugi impraticabili, avanzi di marciapiede sconnessi senza accessi ed attraversamenti. Per non parlare poi della discontinuità (milioni spesi per cartelli inizio/fine), montagne russe agli accessi carrai, sbarramenti insulsi …. e l’elenco delle assurdità potrebbe esser lungo. Chi progetta ciclabili in Italia è spesso, ad esser teneri, un incompetente.

 

Anche quando esistono ciclabili realizzate abbastanza bene, in molte città sono impraticabili: auto parcheggiate, sporcizia, vetri rotti, buche ed altri difetti dovuti all’assenza di manutenzione.  Dato il solito “contentino” ai ciclisti poi ce se ne dimentica.

 

Restando in ambito culinario, FIAB-Ciclobby ha coniato il termine “spezzatino”, riferendosi al fatto che in molte città le ciclabili si trovano “sparse a casaccio”, scollegate tra di loro, spesso realizzate semplicemente dove c’era un po’ di spazio, senza un “progetto di rete”, un piano che riconduca i diversi tracciati, magari necessariamente realizzati in tempi diversi, ad un disegno unitario, a percorsi che abbiamo un senso rispetto ai tragitti origine-destinazione dei cittadini.

 

Si aggiunga poi, proprio per non farci mancare nulla, la tendenza dei nostri Comuni a spiattellare dati su chilometri di ciclabili, vere o presunte tali, solo per finire sul podio in occasione dei vari eco-sondaggi sulla qualità della vita urbana. Le statistiche, noi ciclisti lo sappiamo bene, sono fasulle. Nulla ci dicono sulla “qualità” dei percorsi ciclabili o presunti tali.

 

E così gli amministratori possono ergersi a paladini della “mobilità dolce”, tacitando le obiezioni delle diverse organizzazioni dei ciclisti urbani.  Oppure null’altro fanno, continuando a ripeterci l’eterna litania delle ciclabili sulle quali “stiamo lavorando, progettando, programmando”, come fossero il sol dell’avvenire.  Salvo poche “eccellenze”, un avvenire che, di decennio in decennio mai si è visto, per il micidiale mix nostrano di scarsa volontà politica, progetti inconsistenti ed assenza di finanziamenti adeguati. Mentre tutto il resto, specialmente se realizzabile in tempi più brevi, nemmeno viene preso in considerazione.

 

In un quadro del genere è ovvio che a molti ciclisti italiani la sola parola “pista ciclabile”, specialmente se pronunciata da politici o giornalisti suscita ormai orticaria e convulsioni. 

 

Ai ciclisti ormai è chiaro che c’è una priorità. Bisogna far capire a tutti che, per una città più ciclabile, servono molti altri ingredienti: la moderazione del traffico (zone 30, ecc.), provvedimenti che favoriscono l’uso della bici su tragitti più brevi (provvedimenti “normali” in molti Paesi d’Europa come ad es: percorrenza al contrario dei sensi unici, accesso alle aree pedonali, svolte semaforiche a destra, ecc.), intermodalità (bici sui treni, metrò, funicolari, bus, traghetti, bici stazioni, ecc.), incentivi, ciclo-parcheggi e lotta al furto, diffusione di una cultura della bicicletta e della mobilità sostenibile in generale, ecc.

 

Bisogna però anche rendersi conto che è stata questa “ideologia” dell’ingrediente unico, con somministrazione massiccia di partite scadenti o andate a male, che ha portato molti ciclisti all’idea, sbagliata, che la “pista ciclabile” è qualcosa di sbagliato.

 

Invece l’ingrediente “pista ciclabile” non è da buttar via, anzi. E’ necessario piuttosto cominciare a ragionare sul fatto che serve un “mix di provvedimenti”. Abbiamo ordinato una torta e lo zucchero è necessario. Anche se probabilmente al termine generico di “piste ciclabili” andrebbe sostituito quello di “rete di percorsi ciclabili”.

 

La pista ciclabile “classica” (che, tra l’altro, può essere tecnicamente realizzata in molti modi) è solo uno degli standard tecnici che possono costituire la rete di percorsi. Quel che il ciclista chiede non è altro che poter pedalare in sicurezza e su percorsi veloci e, il più possibile, diretti. Un percorso veloce dal punto X al punto Y della città può essere costituito da un mix di situazioni: una ciclabile ben protetta lungo un’arteria di grande traffico, poi un tratto in zona 30 di un quartiere residenziale, una corsia in senso inverso in senso unico, una strada chiusa alle auto e solo ciclo-pedonale, una corsia ciclabile ottenuta rendendo a senso unico una strada per auto (realizzando a basso costo una ciclabile bidirezionale sulla corsia rimasta libera), ecc. ecc.

 

I percorsi dovrebbero essere studiati anche per rendere più veloci e diretti i tragitti. Il centro storico in molte città è diventato “zona a traffico limitato” e non attraversabile. Si predispongono i “sensi unici” per costringere le auto che vogliono attraversare la città a fare i 3,14 chilometri di circonvallazione (semicirconferenza), però al ciclista dovrebbe invece esser consentito di fare i 2 chilometri di diametro diretti. Anche perché la Circonvallazione, oltre che più lunga, sarà trafficata, pericolosa, irrespirabile e soprattutto meno piacevole del centro storico. Oggi invece, in molte città italiane, si criminalizzano i ciclisti che percorrono il diametro e che, a fronte degli stupidi divieti, si “arrangiano”.

 

Nell’esperienza europea i percorsi ciclabili, costituiti in buona parte da piste, ben realizzate e collegate alla “rete”, sono quelli che hanno incoraggiato molti cittadini a usare meno l’auto e più la bicicletta.  La rete di ciclabili e dei percorsi è l’ossatura del sistema.

 

Poche ma significative esperienze italiane d’altra parte ce lo confermano. Investire in modo serio sulle piste ciclabili, combinando ad altri provvedimenti il forte impegno finanziario e progettuale che questo comporta, paga in termini di risultati.

 

Forse in queste città ciò è stato possibile, soprattutto politicamente, perchè già una fetta significativa di cittadini usava la bicicletta. Oggi in Italia le situazioni, ciclisticamente parlando, sono le più disparate (e disperate) e, se non c’è a monte un forte sforzo culturale e politico di modificare la mobilità, non saranno poche piste ciclabili, strappate a fatica ad Amministrazioni recalcitranti, a fare la differenza, soprattutto se il contesto sociale e politico resta ostile e/o indifferente. Occorre sicuramente a tutto il movimento ciclistico sviluppare una strategia più ampia, rendersi conto che forse non esistono soluzioni valide e/o possibili in ogni “fase ciclistica” di una città, ma neppure stupidamente sconfessare il buon lavoro e  i risultati ottenuti in molte città dicendo che le ciclabili non servono a nulla.

 

Le esperienze europee ci dicono che, in presenza di un traffico automobilistico che, per quanto possa essere “moderato”, resta pur sempre agli occhi dei cittadini ciclisticamente disincentivante, le piste ciclabili hanno costituito una modalità imprescindibile per trasferire quote importanti di mobilità dall’auto alla bici. Poi si va oltre.  Dove l’uso della bicicletta si diffonde le ciclabili tradizionali cominciano ad andar strette, causano ingorghi ciclistici, e pertanto le bici si riprendono intere strade.

 

Sono fasi storiche diverse. Gli ingredienti della torta non sono in se “giusti” o “sbagliati”. A volte bisogna usare quelli disponibili localmente o quelli che ci consentono di cucinare una torta “digeribile” alla maggioranza dei nostri concittadini. Non è neppure detto che partire dalla “moderazione del traffico” sia più facile e più economico, quando sappiamo benissimo che non basta un cartello e che spesso non è facile far passare certi provvedimenti senza sollevazioni di parte dei residenti e degli esercizi commerciali.

 

Per concludere, e restando all’esempio degli ingredienti, volevo ricordare che, nel nostro caso, la ciliegina è il “bike sharing”. Com’è noto la ciliegina andrebbe messa alla fine, sul cucuzzolo della torta. Da noi invece spesso arriva solo la ciliegina (e ce la spacciano per la torta intera).

 

 

 

Stefano Gerosa, tra i fondatori di FIAB-Verona nel 1982 e in seguito della FIAB nazionale. Negli anni ’80 autore del primo libro apparso in Italia sul cicloecologismo “Meglio la Bicicletta”. Presidente della FIAB nel 1994-1995, in seguito ne ha ricoperto il ruolo di Responsabile Amministrativo. Attualmente in FIAB è uno dei cinque vice-presidenti e webmaster.

 

 


 

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