Giulietta Pagliaccio, candidata alla Presidenza Fiab all’Assemblea Nazionale di Vicenza (6-7 aprile 2013), illustra “il nostro ruolo per il futuro”.
FIAB DOMANI: GRANDE E’ BELLO
Dal 1° congresso di Arezzo del 14/15 aprile 2012. “Creare un ambiente a misura di persona, vivibile, attraente, sicuro, sostenibile e sano attraverso lo sviluppo diffuso della ciclabilità intesa come risorsa per il territorio e per le città.”
Dal Documento di sintesi a Cura del Comitato Scientifico degli Stati Generali del 5/6 ottobre 2012. L’Italia cambia strada – Serve una svolta. In che direzione: 20-20-20 della mobilità intese come percentuali di ripartizione modale tra bicicletta, pedoni e Trasporto Pubblico Locale (TPL).
Stiamo vivendo un periodo di “grazia” per la bicicletta, una sorta di nuovo rinascimento almeno in termini di visibilità e popolarità. Altrettanto non si può dire invece delle politiche per la mobilità ciclistica che ancora faticano ad essere considerate una priorità nel quadro più generale delle politiche nazionali e locali per la mobilità, ancora fortemente incentrata sull’uso dell’auto privata.
Cresce il popolo delle due ruote per i motivi più vari, come è emerso anche dalla prima indagine FIAB sul “pedalatore-tipo”: perché è bello e piacevole muoversi in questo modo (lo pensa più del 70%), ne beneficia la salute (67%), ma anche per motivi ambientali (non si inquina 58%) o motivi pratici (es. si evitano i problemi di parcheggio 46%). Sicuramente anche la contingenza economica ha avuto il suo peso nel cambiamento di abitudini che si sta facendo strada, ma voglio pensare che questa nuova fase non sia solo una necessità o una moda del momento ma una vera svolta della nostra società verso un modello di sviluppo più sostenibile.
Sono convinta che il nostro lavoro ultraventennale su questi temi non è passato invano e anche questa nuova attenzione è frutto del nostro impegno che, insieme ad altre associazioni ambientaliste, hanno sollecitato l’attenzione nei confronti dei temi ambientali come possibile chiave di volta per un nuovo sviluppo economico e sociale.
Questo è una dato che, a mio avviso, non rivendichiamo mai abbastanza sempre alla ricerca di ciò che non va nelle nostre associazioni e nella Federazione piuttosto che sottolineare e comunicare in modo efficace i tanti piccoli, grandi successi che invece possiamo vantare.
Ciò detto, però, non significa che possiamo fermarci e non guardare al di là del nostro recinto: fuori c’è una società che cambia e noi dobbiamo saper leggere il cambiamento ed adattare anche le nostre modalità di azione per essere sempre più efficaci nel nostro lavoro di promozione e sviluppo della mobilità ciclistica.
Questa lunga premessa per sottolineare l’importanza di quanto fin qui fatto e il ringraziamento a tutti coloro che hanno dato un contributo alla crescita associativa.
Da questo importante patrimonio di idee e persone si prosegue per dare il nostro contributo al cambiamento del sistema di mobilità che conosciamo verso quel modello del 20-20-20 emerso durante gli Stati Generale di Reggio Emilia sopra citato: un obbiettivo ambizioso che ha bisogno di un lavoro politico-associativo ancora più intraprendente e vigoroso.
Il nostro ruolo per il futuro
L’obbiettivo di portare il 20% degli italiani ad usare la bicicletta è ambizioso e ha bisogno di almeno tre pilastri su cui lavorare:
- formazione e informazione, indispensabile per aiutare i cittadini ad assumere un nuovo stile di vita che comprende anche un nuovo modello di mobilità, ma indispensabile anche per creare una classe politica e tecnica adeguata e all’altezza di questa mobilità diversa;
- la politica, perché i cittadini possono cambiare ma se la politica non adegua la società a questi nuovi modelli si rischia l’implosione oltre che la frustrazione dei cittadini che si trovano a vivere una società inadeguata alle loro nuove esigenze (e il ciclista urbano conosce bene questa frustrazione);
- l’impresa, perché dietro questo nuovo modello di mobilità c’è una straordinaria opportunità economica di rilancio per il nostro paese e noi possiamo e dobbiamo aiutare il mondo dell’impresa a cogliere queste nuove esigenze di mercato.
Come facciamo tutto questo?
Prima di tutto dobbiamo essere tanti perché l’attenzione da parte degli altri è direttamente proporzionale alle percentuali espresse, ci piaccia o no: se siamo in 10 per strada siamo visti come un noioso contrattempo, se siamo 100 o 1.000 diventiamo un problema per qualsiasi amministratore pubblico che si troverà costretto ad affrontare il tema (anche in termini di consenso elettorale).
Dobbiamo quindi biblicamente “crescere e moltiplicarci”, raggiungere nuove persone, diventare attrattivi, inclusivi e anche simpatici, soprattutto per arrivare a quella fascia giovanile che spesso viene citata.
Dobbiamo rafforzare quelle alleanze già consolidate con associazioni che perseguono, come noi, obbiettivi di protezione ambientale, perché il tema della mobilità ciclistica è uno degli elementi di quell’insieme di politiche per lo sviluppo sostenibile che molte altre associazioni, come noi, stanno promuovendo e insieme si è più forti.
Nel contempo, però, dobbiamo cercare di dialogare anche con chi oggi ci sembra molto lontano dai nostri obbiettivi, come ad esempio l’industria dell’auto. So che sembra un paradosso ma se vogliamo modificare il modello di mobilità dobbiamo convincere le case automobilistiche a cambiare il loro progetto industriale perché il prodotto che stanno vendendo oggi è inadeguato al mercato. Non ho nessuna intenzione di fare guerre neanche agli automobilisti e voglio solo convincerli a farne un uso più razionale. Dobbiamo convincere quel 20% di automobilisti a scendere dall’auto e prendere una bicicletta e non lo si fa massacrandoli a parole o assumendo un atteggiamento barricadero, né desidero che si sia identificati come le anime belle che non pensano che dietro l’industria dell’auto ci sono famiglie che vivono grazie a quel lavoro. Mirendo conto che non è semplice ma è necessario perché confrontarci con quelli che ci sono vicini e simpatici è facile ma non porta un ciclista in più in strada.
Per crescere abbiamo bisogno di una struttura adeguata ai grandi numeri: non si fanno nozze con i fichi secchi e non crescono neanche le associazioni. Il lavoro dei volontari è un patrimonio straordinario che ha ci ha permesso di essere una grande ed autorevole associazione e del prezioso lavoro dei nostri volontari non potremo fare a meno neanche in futuro.
Però abbiamo anche bisogno di professionisti, di persone che metodicamente e quotidianamente lavorano su alcuni temi, che seguono puntualmente i vari passaggi dei progetti, professionisti che hanno la possibilità di far fronte alle molteplici richieste che arrivano ormai da più fronti e con frequenza giornaliera. Dobbiamo avere il coraggio di investire su alcune figure professionali e darci un minimo di struttura aziendale. Dobbiamo investire sulla comunicazione, uno dei punti deboli della nostra organizzazione più volte da molti evidenziato, tenendo presente che il tema è complesso e va affrontato senza improvvisazione.
Per tutto questo servono risorse e anche in questo caso dobbiamo avere un atteggiamento un po’ più imprenditoriale, cercare nuove collaborazioni anche con soggetti privati da cui trarre reciproci vantaggi. Intorno al tema della mobilità ciclistica si stanno muovendo soggetti diversi che hanno capito che si può fare business e molto spesso non hanno grandi competenze specifiche.
Noi abbiamo quelle competenze che a molti mancano e dobbiamo essere in grado di mettere a profitto queste competenze.
Dobbiamo infine intensificare il nostro lavoro di lobby con la politica e con il mondo dell’impresa: sia l’uno che l’altro sono pilastri fondamentali per attuare il cambiamento.
Anche in questi settori il nostro ruolo deve essere quello di formazione, informazione e supporto perché abbiamo spesso verificato che in molti, specie tra politici e amministratori pubblici, non conoscono il tema e i provvedimenti che vengono attuati sono inadeguati, inefficaci quando non addirittura deleteri, frutto di insipienza più che di cattiva volontà (la vicenda del casco obbligatorio ne è solo un esempio).
Tutti insieme siamo in grado di affrontare questi impegni e una buona dirigenza da sola non basta:
serve il vostro entusiasmo, le vostre competenze e il vostro impegno per far crescere le vostre associazioni che rendono grande la nostra Federazione e una grande Federazione rende più autorevoli anche le associazioni, in una sorta di circolo virtuoso.
Da ultimo due parole su di me, perché alcuni mi conoscono bene, altri meno e altri ancora mi hanno solo sentita menzionare.
Sono una signora di una certa età, come si diceva un tempo, ma ho ancora sogni e speranze per il futuro, non foss’altro perché sento un dovere morale nei confronti delle mie figlie e delle generazioni che verranno.
Ho un’esperienza lavorativa variegata, dalla multinazionale all’ente pubblico, dal lavoro più semplice a ruoli impegnativi; ho una lunga esperienza nel campo dell’associazionismo e non mi sono fatta mancare neanche la politica che, al di là di quello che si può pensare, è una palestra formativa straordinariamente interessante. In tutto questo percorso e in ogni situazione ho sempre messo il massimo dell’impegno e dell’entusiasmo e sommessamente dico che qualche risultato positivo c’è stato.
Sono grata a chi crede io possa assumere un ruolo importante come quello di presidente di FIAB, ma non nego che sono anche spaventata dalla possibilità di non essere all’altezza del compito.
Quello che posso garantire è che non mancheranno l’impegno e l’entusiasmo che ho sempre messo in ogni attività; cercherò con tenacia di perseguire gli impegni che la Federazione si è data e che sono emersi con chiarezza durante il 1° Congresso di Arezzo.
So che i problemi saranno tanti ma so di poter contare su una squadra straordinaria.
Giulietta Pagliaccio
3 dicembre 2012