Le scelte urbanistiche: intervista a Paolo Fabbri
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Di seguito la 10° intervista nell’ambito dell’iniziativa #ChiediloaFiab, a Paolo Fabbri, sulla tesi n° 10 “Le scelte urbanistiche“, la nona delle 11 tesi congressuali discusse al Congresso Nazionale di Arezzo.

 

La diffusione della bicicletta è legata a doppio filo con le scelte urbanistiche della città. Quartieri esclusivamente residenziali e grandi centri commerciali in periferia sono i nemici della mobilità ciclistica. Quali sono le associazioni con cui FIAB collabora per scongiurare queste scelte e quale ruolo svolgono?

Penso che la Fiab – con le associazioni che la compongono – debba affermare la complessità che si nasconde sotto il nome un po’ fuorviante di “amici della bicicletta”: un nome che a questa complessità certamente non rimanda. Infatti, poiché la bicicletta non può crescere nel degrado e non può crescere se il modello di mobilità urbana le assegna solo spazi di risulta, chi si occupa di mobilità ciclistica e di cicloturismo è costretto ad occuparsi – oltre che di temi strettamente collegati alla bici – anche di lotta all’inquinamento, di tutela del paesaggio, di scelte urbanistiche, di protezione della natura, di tutela della bellezza, di modelli di mobilità… Temi centrali all’attività di altre associazioni (Italia Nostra, Legambiente, WWF, FAI … ) e di molti comitati di cittadini presenti in varie città. Penso perciò che sia giusto coltivare al nostro interno competenze anche in questi ambiti – fra questi quello della pianificazione urbanistica -, ma penso che sarebbe davvero uno spreco non stabilire alleanze con le associazioni citate per ricorrere – forti della condivisione degli obiettivi che ci unisce – alle loro straordinarie competenze. Tanto più che riconoscere quelle competenze significa anche porre le basi perché quelle stesse associazioni riconoscano le nostre per procedere insieme con l’intento di far crescere l’attenzione per le tematiche che ci interessano e il consenso sulle nostre proposte.

 

Germania e Gran Bretagna stanno cercando di porre un freno all’”urban sprawl” (dispersione della città) e al consumo di suolo con leggi mirate. In Italia i permessi di costruzione sono delegati ai comuni. Come intervenire per contenere questa tendenza?

Molti confidano che il Disegno di Legge presentato dal Ministro Catania nella passata legislatura venga ripreso dalle nuove Camere. Per fermare il consumo di suolo è fondamentale infatti abolire, come prevedeva il DDL, le norme che consentono ai comuni di utilizzare parte degli oneri di urbanizzazione per coprire le spese correnti (norma che di fatto incentiva le amministrazioni locali a promuovere piani urbanistici che prevedono l’espansione delle zone edificabili per far fronte, alle difficoltà di bilancio sempre più drammatiche). Altra questione fondamentale affrontata dal DDL la necessità di porre limiti alla quantità di terreno agricolo per il quale gli enti locali possono cambiare la destinazione d’uso. Utile sarebbe integrare queste norme con le proposte da tempo prodotte dalle associazioni ambientaliste sulla difesa e sul recupero delle cosiddette “cinture verdi” che ancora circondano diverse città, sulla necessità di favorire, anche con piani di edilizia popolare, il recupero dei grandi contenitori (es. caserme), di risolvere la questione – importante in particolare per tutto il nord ma non solo – dell’abbattimento delle strutture industriali non più utilizzate.

 

In Olanda negli anni ’70 sono stati addirittura demoliti dei palazzi per far posto a piste ciclabili e ripensare la mobilità in favore di mezzi alternativi all’auto, in particolare la bicicletta. Riprogettare gli spazi urbani è quindi una misura indispensabile per cambiare abitudini di mobilità?

Non credo che sia indispensabile ridisegnare gli spazi urbani per far posto alla bicicletta. Credo che sia necessario farlo per restituire spazio alla qualità della vita e quindi anche ad un’altra mobilità e alla bicicletta: nelle nostre città dobbiamo ritrovare le piazze, gli spazi per giocare, per muoverci a piedi. Il verde, il silenzio, la bellezza. Non possiamo rassegnarci all’idea che questo resti un sogno irrealizzabile stanti le esigenze di mobilità o produttive che pure l’organizzazione delle città deve assolvere. L’esempio di molte ricche ed efficienti città europee dovrebbe illuminare i nostri amministratori.

 

Quali sono in Italia i migliori esempi di pianificazione urbanistica? La mobilità alternativa all’auto privata ne giova?

C’è un’associazione di comuni virtuosi,  per lo più piccoli, che si propongono obiettivi importanti in vari ambiti, anche in quello della lotta al consumo di territorio e della mobilità sostenibile. Mi sembra ovvio che una pianificazione urbanistica attenta ai temi della mobilità, che promuova la città compatta, il recupero degli edifici dismessi, la tutela del verde e del piccolo commercio …  non possa che produrre effetti positivi anche in fatto di mobilità sostenibile. Va tuttavia considerato che se le scelte urbanistiche sono decisive, altrettanto lo sono, l’assunzione di un modello, la redazione di piani, l’individuazione di priorità, la comunicazione… Promuovere la mobilità sostenibile è una cosa complicata… C’è poi una considerazione piuttosto triste da fare: nel nostro paese sono poche le città che si sono dotate di strumenti per misurare il traffico. Questo rende impossibile stabilire se un’azione ha si o no determinato effetti positivi sulla mobilità perché questa valutazione è possibile solo a chi disponga di dati aggiornati sulla partizione modale degli spostamenti. Il fatto che la stragrande maggioranza dei sindaci che non sappia come si muovono i cittadini che amministrano sembra non destare scandalo. Eppure è  come se quei sindaci fossero imprenditori che ignorano quale sia il fatturato delle loro aziende. E che, quindi, si muovano senza obiettivi, senza un piano per realizzarli e senza strumenti per monitorare l’efficacia delle azioni via via intraprese. Sconcertante.

 

Vauban, in Germania, è un ottimo esempio di insediamento “car-free”, il più grande d’Europa con i suoi 6000 abitanti. Sono possibili esperienze analoghe in contesti molto più popolosi?

Friburgo non è una piccola città e non lo è certamente Vienna dove si è realizzato un esperimento analogo… Non sono propriamente “car free” il centro di Parigi o quello di Berlino dove tuttavia possedere un auto è molto complicato e dove, al contrario, è davvero semplice muoversi con mezzi pubblici efficienti ad ogni ora del giorno e della notte …  Berlino ha 31 auto per 100 abitanti, Roma ne ha 72 …

 

E’ possibile vedere un ripensamento della mobilità come occasione di sviluppo economico?

Mi pare evidente che investire sul trasporto pubblico e sulla salute dei cittadini (ridurre l’inquinamento e promuover pedonalità e bicicletta significa anche questo) non possa che avere ricadute economiche positive. Lo confermava già qualche anno fa uno studio delle allora senatrice Donati (oggi assessore alla mobilità a Napoli) che affrontava il tema della riconversione dell’industria automobilistica anche sotto il profilo dell’occupazione e individuando le grandi potenzialità degli investimenti nel trasporto pubblico. Del resto una mobilità centrata sull’automobile (e su camion) – mentre cresce spaventosamente la domanda di motorizzazione dei paesi emergenti (l’indice di motorizzazione in Italia è di circa 60 autovetture per 100 abitanti, in Cina sono 20 per 100 abitanti)  e diminuisce la disponibilità di petrolio – è destinata a divenire inevitabilmente sempre più costosa. Come ho già detto a Roma vi sono 72 auto per 100 abitanti, a Berlino sono 31: per ogni milione di abitanti significa qualcosa come 360.000 auto in meno. Mantenere un’automobile costa, secondo l’ultimo rapporto ACI, oltre 4000 euro all’anno. Quanti soldi può “liberare” la mobilità sostenibile?

 

E’ più vivo il mercato immobiliare nelle aree a minor tasso di motorizzazione?

Non conosco i dati sul mercato immobiliare. So che a Mestre nelle strade attraversate dalle ciclabili previste dal Biciplan di quella città, il valore delle case è cresciuto.

 

Paolo Fabbri  nato a Verona nel gennaio 1951,  laurea in psicologia. Ex ufficiale dell’Aeronautica Militare e, da una decina di anni, libero professionista (sempre nell’ambito della psicologia del lavoro e della formazione sia in ambito pubblico che privato; da tre anni anche coordinatore di un gruppo di psicologi presso una società che si occupa di medicina del lavoro). In ambito Fiab è stato presidente dell’associazione Amici della Bicicletta di Verona dall’aprile del 2002 al febbraio 2012, vice presidente dal febbraio 2012 al febbraio 2013. Ancora in ambito Fiab è stato responsabile dei corsi residenziali e docente o relatore in svariate occasioni prevalentemente sui temi della comunicazione e della crescita. Candidato al CN nell’assemblea del prossimo Aprile 2013.

 

Alessandro Micozzi