Maleducazione sui pedali? No, grazie [2° puntata]
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di Stefano Gerosa

 

Segue da 1° puntata (premessa)

 

I ciclisti non sono maleducati (basta campagne denigratorie!)

 

Le campagne denigratorie contro i ciclisti, irrazionali e di pancia, nascono da un atteggiamento psicologico dell’automobilista, per il quale il ciclista appare come un intralcio. Vengono però alimentate da certa stampa per ragioni politiche. I ciclisti aumentano e rivendicano una diversa organizzazione della mobilità. Queste idee si fanno strada in Europa. Chi teme questo cambiamento usa l’argomento “maleducazione dei ciclisti” per screditare e soprattutto evitare una discussione seria sui problemi della mobilità.

 

Sembra che nelle nostre città, inquinate e caotiche, dove pedoni e ciclisti sono vittime quotidiane, il problema sia la maleducazione di chi usa la bici.  Così raccontano certi articoli su carta stampata o in rete. Su quest’ultimi fioccano inoltre coloriti commenti, dai quali trasuda ignoranza ed inciviltà (talvolta istigazione all’odio e alla violenza verso i ciclisti, con risvolti da codice penale; non sarebbe da escludersi neppure qualche azione in giudizio verso i responsabili della testata giornalistica).

 

Non nego comportamenti scorretti anche da parte di “chi conduce una bici”, e ne parlerò ampiamente nella 4° puntata dell’articolo, osservo però che qui si  monta ad arte un problema per schivarne di ben più pesanti. Queste campagne denigratorie, irrazionali e “di pancia”, non costituiscono una discussione utile e seria sui problemi della mobilità e dell’educazione stradale. E’ spazzatura, eppur dilaga. Per quali ragioni?

 

Una prima ragione riguarda l’atteggiamento psicologico dell’automobilista medio. Un atteggiamento mentale che ha abbastanza a che fare con il senso di onnipotenza. In molte parti d’Italia non si era abituati alla presenza dei ciclisti, ne circolavano pochi, spesso impauriti. Negli ultimi anni le bici nelle strade sono aumentate, così come la consapevolezza dei  ciclisti dei propri diritti (spesso negati). Di conseguenza molti automobilisti si sentono “spodestati” dal privilegio di possedere “in esclusiva” tutta la strada,  di correre, di uscire agli stop senza fare troppa attenzione, ecc.

 

Quando guido un’auto, conoscendo le difficoltà dei ciclisti, tollero molte loro manovre.  Però solo da passeggero sull’auto di qualche “non ciclista”, sentendo i suoi commenti ed improperi, mi son reso conto che molti non hanno la minima idea di cosa significa andare in bici (su strade pensate solo per le auto).

 

Il ciclista poi appare come un intralcio e dà fastidio all’automobilista solo per il fatto di esistere. Ad esempio, pensa che non stia rasente al marciapiede solo per far dispetto, quando invece è  intento a scansare tombini, vetri e portiere che si aprono. Le manovre del ciclista, sbalzato di qua e di là da automobilisti che tagliano la strada o escono in retromarcia, sono per l’automobilista che sopraggiunge (e si è perso la scena precedente)  l’ennesima prova che il ciclista è un indisciplinato.

 

Certo, anche l’automobilista più prudente si trova in difficoltà su strade strette, in fase di manovra, ecc. L’unica soluzione è rallentare: si ha tra le mani un’ “arma carica” che può ferire o uccidere (pedoni e ciclisti, ma anche altri automobilisti).  Il fatto invece che molti in Italia neppure si fermino agli attraversamenti pedonali la dice lunga e dimostra che questa “auto-limitazione”, normalissima in altri Paesi, qui non è di moda e si preferirebbe invece veder sparire ciclisti e pedoni dalle strade (i più “progressisti” invocano ciclabili segregate per toglierseli dai piedi).
Altrove chi guida ha in genere maggior rispetto per pedoni e ciclisti, e non è solo una questione di regole. Personalmente mi è capitato, in bici in Olanda o Austria, di fare una manovra sbagliata e chiedere scusa all’automobilista, per vedermi  rispondere con un sorriso e dare la precedenza  pur non avendone diritto. Si chiama civiltà, pura fantascienza in Italia?

 

Insomma, se i ciclisti danno fastidio, viene facile cercare di squalificarli come maleducati; basta magari incrociarne uno o due che effettivamente lo sono, per sentirsi poi in diritto di screditarli tutti, con semplificazioni evidentemente grossolane della realtà.

 

D’altronde, anche la pubblicità propone ancora, talvolta, una immagine dell’auto che è padrona della strada. La martellante pubblicità del settore automotive, infatti, contribuisce a sorreggere una domanda elevata, e drogata, trasmettendo messaggi ingannevoli, fuorvianti o egoistici (auto potenti e veloci che, dotate di comfort e sicurezza interni, sfrecciano dentro città deserte, strade sgombre, ambienti incontaminati, coinvolgendo anche gli affetti domestici).

 

La seconda ragione è politica. I ciclisti non si limitano ad aumentare e a occupare le strade, riprendendosi lo spazio. No, rivendicano anche spazi e diritti o, peggio ancora, una diversa organizzazione della mobilità. La cosa più terribile, poi, è che queste idee si stanno facendo strada e molte città in Europa e nel mondo stanno limitando l’uso dell’auto, rallentando la velocità, dandosi regole ed infrastrutture per città “bike friendly”.

 

Orrore! Il cambiamento fa paura.  Quale migliore strategia se non “spostare” la discussione su un altro piano?
Per non parlare di “città possibili” si sposta il focus sui comportamenti individuali (sul web molti ciclisti cadono nella trappola e partecipano alla stupida ed inutile zuffa).
Tra l’altro, come ho già spiegato (nota 1), la denigrazione è sempre stata la tattica di razzisti o retrogradi per screditare e far fuori le legittime rivendicazioni politiche dei movimenti per i diritti civili.

 

Le campagne denigratorie quindi non nascono solo da atteggiamenti psicologici. Se si tratta di giornali o mass media, c’è probabilmente anche un disegno politico, sotto la spinta dell’interesse economico: la pubblicità delle auto fa da padrona sui quotidiani, e in qualche caso le aziende automobilistiche sono nella compagine proprietaria delle case editrici. Non mi unisco alle ampie schiere dei “complottisti” ma non si può nemmeno fare gli ingenui: dietro le quinte non è da escludere l’idea di compiacere (in maniera stupida) il loro sponsor principale o l’azionista.

 

 

Nota 1: Ho già illustrato alcuni concetti, che in parte qui riprendo, in un articolo pubblicato nel sito nel 2012 “La FIAB: sindacato dei ciclisti, movimento per i diritti civili o associazione ambientalista?”.

 

 

Scrivo queste mie considerazioni, suddivise in più articoli, come contributo di riflessione per i dirigenti ed attivisti della FIAB, talvolta interrogati sull’argomento da giornalisti, amministratori o cittadini.  Anche se penso possano interessare chiunque segue il nostro sito.
Alcuni dirigenti di associazioni della FIAB mi hanno dato una mano, correggendo ed integrando queste mie considerazioni, aiutandomi a migliorarle. Li ringrazio tutti. Precisando che, nello spirito di questa rubrica, questo e gli articoli che seguiranno non esprimono posizioni ufficiali di FIAB ma soltanto idee personali dell’autore che se ne assume tutte le responsabilità.

 

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