Maleducazione sui pedali? No, grazie [1° puntata]
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di Stefano Gerosa

 

I ciclisti non sono maleducati (basta con le campagne denigratorie), ma quelli che si comportano male ci sono (non difendiamoli).

 

A prestar fede a certi articoli  su quotidiani o siti web, sembra di capire che nelle nostre città, inquinate e caotiche, dove pedoni e ciclisti sono vittime quotidiane, il problema sia la maleducazione dei ciclisti. 

 

Quanto son faziosi. Pensano che le strade debbano restare dominio assoluto dell’auto e le città conservarsi invivibili qual sono. Sono impauriti dal cambiamento e si oppongono strenuamente all’inevitabile.

 

In realtà nessuno di noi appartiene ad una sola categoria. In una sola giornata posso andare al lavoro in bici, a piedi a far acquisti, tornare a casa con l’autobus e poi prendere l’auto per altre esigenze.  Sarò sempre la stessa persona, educata o maleducata, in ognuno di questi momenti. Non è che scendere dall’auto e salire su una bici mi trasformi magicamente da dottor Jekyll a Mr. Hyde.

 

Quindi sono ciclista ma anche automobilista, pedone e utente dei mezzi pubblici.
In realtà non do fastidio andando in bici, ma perchè rivendico una città con spazi e diritti per tutti,  dove sia possibile liberamente e in sicurezza scegliere il mezzo di trasporto più appropriato alle esigenze effettive. Dove si rispettino tutti gli altri utenti della strada, soprattutto quelli  più “fragili”.
Ed auspico politiche orientate a favorire la mobilità sostenibile, disincentivando l’uso del mezzo privato a motore ed attuando, inoltre, “moderazione del traffico” ed “educazione stradale” per rendere le strade più sicure.
Sono scelte di civiltà, da attuare in maniera democratica, a vantaggio di tutta la collettività.

 

Non aiuta questo processo civile e democratico chi, da una parte o dall’altra, avalla l’idea di una barbara guerra “tribale” sulle strade.
E’ pur vero che in Italia l’idea di una città con spazi e diritti per tutti resta un miraggio. Il traffico urbano moderno è “regolato” da norme vecchie ed inadeguate, focalizzate soprattutto sulla circolazione dei veicoli a motore, ed obsolete persino nei termini (per il Codice della strada la bici è “velocipede”!). Questo ci permette di fare alcuni distinguo, di spiegare perché i ciclisti urbani nostrani, anche se educati e di buona cultura, al pedissequo rispetto delle regole antepongono talvolta la necessità di salvarsi la pelle

 

Dall’altra osserviamo talvolta, da parte di alcuni ciclisti, comportamenti sconsiderati, assolutamente non necessari.   Pur contestando il clima fazioso di caccia alle streghe, che certa stampa sembra quasi voler fomentare, come associazioni di ciclisti non difendiamo questi comportamenti incivili. Anzi ci adoperiamo per diffondere l’idea che i ciclisti, “testimonial” coerenti di un nuovo stile di mobilità, si conformino il più possibile a quel “modello europeo” a cui si ispirano, con un comportamento di rispetto verso gli altri utenti della strada, lo stesso che chiedono ad automobilisti, motociclisti, pedoni, ecc.

 

Questa è solo una premessa, vedremo nelle prossime puntate di approfondire alcuni aspetti salienti della questione.

 

Scrivo queste mie considerazioni, suddivise in più articoli, come contributo di riflessione per i dirigenti ed attivisti della FIAB, talvolta interrogati sull’argomento da giornalisti, amministratori o cittadini.  Anche se penso possano interessare chiunque segue il nostro sito.
Alcuni dirigenti di associazioni della FIAB mi hanno dato una mano, correggendo ed integrando queste mie considerazioni, aiutandomi a migliorarle. Li ringrazio tutti. Precisando che, nello spirito di questa rubrica, questo e gli articoli che seguiranno non esprimono posizioni ufficiali di FIAB ma soltanto idee personali dell’autore che se ne assume tutte le responsabilità.

 

Le prossime puntate: