Niente trivelle, più pedivelle
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di Raffaele Di Marcello

 

La notizia che la FIAB abbia aderito al manifesto del Comitato per il SI al prossimo referendum sulle trivellazioni non deve sorprendere. La FIAB è un’associazione “cicloambientalista” e da sempre propugna uno stile di vita più vicino al rispetto dell’ambiente e al risparmio energetico, risparmio energetico di cui la bicicletta è simbolo, in quanto mezzo di trasporto a consumo zero e a zero emissioni (sudore escluso).

Ma perchè votare SI al referendum? Innanzi tutto va specificato che il petrolio che si estrae sul territorio italiano è di scarsissima qualità, ma alle compagnie costa praticamente zero.

 

Nell’anno 2014 il gettito da royalties è stato pari a € 401.915.004.65, nel 2015 è sceso a € 340.143.425,64, e i diritti che le società versano allo stato italiano (le royalties appunto) sono le più basse al mondo, mantenendosi al 10%, mentre per il resto del mondo si va dal 25% della Guinea all’80% della Russia e della Norvegia.

Tra l’altro in Italia il sistema delle “franchigie” rende il tutto ancora più conveniente per le società di estrazione, in questo queste  non pagano nulla se producono meno di 20mila tonnellate di petrolio su terra e meno di 50mila in mare. Se si superano tali soglie, inoltre, c’è un’ulteriore detrazione di circa 40 euro a tonnellata (sconto del 3%). Quindi, in realtà, viene versato solo il 7% delle royalties dopo le prime 50.000 tonnellate di greggio estratto.

Praticamente i giacimenti sono patrimonio dello Stato (e quindi di tutta la collettività) ma lo stato li “regala” ai privati, privati per i quali, una volta investito nelle strutture (piattaforme, pozzi di trivellazione, ecc.), rimane sempre più conveniente continuare ad estrarre quantità anche minime di greggio piuttosto che smantellare (e di conseguenza smaltire) i complessi macchinari necessari per “tirare su” il petrolio (in Adriatico ci sono ancora decine di piattaforme non più funzionanti ma mai smantellate).

Ed è proprio questa questione che è l’oggetto del quesito referendario superstite. Infatti, se vince il SI, si eviterà che le società petrolifere continuino ad estrarre, tra l’altro con impianti vecchi (e quindi, teoricamente, più soggetti a possibili incidenti), il greggio sempre più scarso, fino ad esaurimento del giacimento, con nessun vantaggio per la collettività.

 

Va anche detto che, se nel 2011 le estrazioni petrolifere nazionali coprivano solo il 7% del fabbisogno italiano, pur trivellando l’intera penisola, in mare e in terraferma, isole, cime alpine e appenniniche comprese, città d’arte e campagne fertili, non riusciremmo a coprire più del 47% del fabbisogno nazionale, tra l’altro per un periodo non più lungo di un quinquiennio.

Quindi svenderemmo il nostro territorio, fatto di agricoltura, arte, storia, paesaggio, ambiente, per cinque anni di semindipendenza energetica, tra l’altro teorica, visto che, come già scritto sopra, chi ci guadagna sono praticamente solo le compagnie e quel petrolio lo pagheremmo, comunque, a caro prezzo.

 

C’è poi la questione dei posti di lavoro. Secondo Assomineraria se si raddoppiassero le estrazioni si creerebbero per incanto 25.000 nuovi posti di lavoro. A parete che l’annuncio italico di migliaia, se non milioni, di posti di lavoro creati dal nulla è ormai consolidato, basta pensare che l’industria petrolifera dell’Arabia Saudita impiega 50.000 persone, quindi non si capisce perchè da noi ce ne vogliano altrettante. Senza considerare che per ogni posto creato nell’industria petrolifera, probabilmente, se ne perderebbero dieci nella pesca, nell’agricoltura, nel turismo, ecc., ecc., ecc.

 

Non parliamo poi dei danni all’ambiente che le attività estrattive, anche senza incidenti, provocano. Esalazioni degli impianti di trasformazione, piccole perdite, il fenomeno dell’air-gun che provoca seri danni alla fauna ittica… Insomma l’industria petrolifera, dove è fiorente (vedi Sicilia o Val d’Agri in Basilicata), non ha portato sviluppo nè creati giardini dell’eden.

 

Ma, obietteranno in molti, se usate l’auto per spostarvi, il gas per il riscaldamento, i derivati del petrolio per oggetti di uso comune, non potete pretendere che queste materie prime si estraggano “altrove”. E’ vero, ma in Italia, paese del sole, siamo indietro anni luce nell’utilizzo del fotovoltaico (nei paesi del nord-europa, al contrario, la tecnologia si sviluppa di anno in anno con rendimenti energetici sempre più interessanti). E gli spostamenti quotidiani possono, e devono, prendere la strada della collettivizzazione (trasporto pubblico locale) e, e qui veniamo al punto, della pedonalità e ciclabilità.

In Olanda negli anni ’70, in piena crisi energetica, si disse “costruiamo piste cilcabili, poi i cittadini le useranno”, e adesso le auto sono specie rara. Da noi l’automobile è ancora uno status simbol, e guai a non averne tre/quattro a famiglia.

Eppure l’industria della bicicletta potrebbe, quella si, portare migliaia di posti di lavoro, per la produzione (una volta l’Italia era tra i maggiori produttori mondiali di biciclette), per la commercializzazione, per la riparazione, per il turismo in bicicletta, per il trasporto merci in bici, per la produzione e la vendita di accessori.

 

Quindi votiamo SI e poi adottiamo stili di vita ecosostenibili, senza trivelle ma con tante, tantissime, pedivelle….