Ci è giunta la bozza ministeriale di revisione della normativa tecnica che, nei suoi aspetti principali, continuerà ad ostacolare lo sviluppo della ciclabilità in Italia. La FIAB e le altre associazioni e movimenti non si rassegneranno a passi indietro rispetto alle richieste dell’ANCI che faciliterebbero l’opera di quei comuni che puntano ad un maggior uso della bicicletta come soluzione per i problemi di traffico ed inquinamento”
di Valerio Parigi
Negli ultimi mesi si è finalmente avviato il processo di revisione della normativa vigente sulla ciclabilità, inadeguata e finora di ostacolo allo sviluppo di questo tipo di mobilità.
Il processo si è articolato in due rami: da una parte importanti modifiche al codice della strada, di cui si va ad adeguare lo spirito, con pedoni e biciclette non più subordinate al traffico motorizzato (sbocco entro 2 anni circa); dall’altra una riscrittura della normativa tecnica ministeriale sulle piste ciclabili (DM 557/99) con scadenza di pochi mesi.
Quest’ultima ha preso le mosse da un documento ANCI, decisamente innovativo ed in grado di portare la ciclabilità delle nostre città a livelli europei.
Le proposte ANCI, condivise da Fiab, mirano ad adeguare il nostro quadro normativo agli standard europei, dandoci infrastrutture efficaci, e a facilitare l’opera dei Comuni senza slalom fra norme obsolete e contraddittorie.
Proprio nei giorni scorsi abbiamo ricevuto ed esaminato la bozza attuale con cui il Ministero dei Trasporti “recepisce” e concretizza le proposte ANCI. Vediamo alcuni passi avanti su temi in discussione da anni, ma nel complesso la bozza è deludente.
Saltano agli occhi alcuni punti qualificanti, fra i tanti.
La realizzazione dei controsensi ciclabili, un pilastro della ciclabilità europea, rimane molto ristretta o poco praticabile, oltretutto con la segnaletica poco sensata dell’obbligo di svolta (a destra in figura) al posto del cartello di senso unico “eccetto bici” (in alto, in varie lingue, adottata anche da vari comuni italiani).
In pratica si tratta dell’escamotage già ammesso dal parere ministeriale del 2012, con molte limitazioni e in netta contraddizione con la prassi europea consolidata: es. si impone una carreggiata di almeno 4,25, ove notoriamente la larghezza è irrilevante, e anzi una qualche cautela è necessaria proprio in casi di strade più ampie. Inoltre si esclude la presenza di sosta auto, andando a rendere quasi impraticabile la soluzione, che infatti ha avuto rarissime applicazioni fino ad oggi. In sostanza nessun passo avanti, ma formalismi ampiamente smentiti.
In pratica si tratta dell’escamotage già ammesso dal parere ministeriale del 2012, con molte limitazioni e in netta contraddizione con la prassi europea consolidata: es. si impone una carreggiata di almeno 4,25, ove notoriamente la larghezza è irrilevante, e anzi una qualche cautela è necessaria proprio in casi di strade più ampie. Inoltre si esclude la presenza di sosta auto, andando a rendere quasi impraticabile la soluzione, che infatti ha avuto rarissime applicazioni fino ad oggi. In sostanza nessun passo avanti, ma formalismi ampiamente smentiti.
Rete ciclabile: non c’è traccia del principio di continuità della rete, uno dei difetti maggiori delle infrastrutture sparse per l’Italia, con la diffusa e devastante prassi dell’interruzione ogni poche decine di metri, in corrispondenza degli incroci o altre criticità.
Prassi che può essere sanata soltanto con l’obbligo di realizzare gli attraversamenti ciclabili ad ogni intersezione, con ridotte e motivate possibilità di deroga.
Prassi che può essere sanata soltanto con l’obbligo di realizzare gli attraversamenti ciclabili ad ogni intersezione, con ridotte e motivate possibilità di deroga.
Manca anche l’esplicitazione che i riquadri bianchi sono l’unica forma di attraversamento ciclabile, uscendo da assai dubbi pareri e zone grigie che vedono le strisce pedonali d’obbligo in caso di percorsi promiscui ciclopedonali. Gli attraversamenti ciclabili devono inoltre essere ammessi e facilitati anche in collegamento di zone pedonali senza pista ciclabile o per il solo incrocio. Non se ne vede cenno nella bozza ministeriale.
Estremamente limitativa anche l’applicazione di linee di arresto e case avanzate, di semafori dedicati alle bici, fino ad arrivare ad alcune vere e proprie bizzarrìe: l’obbligo di transennamento fisso per le piste ciclabili contigue al marciapiede fuori dalle zone 30, o millimetriche definizioni della larghezza dei cordoli separatori, senza alcun senso ma in grado di rendere irrealizzabili le piste ciclabili in sede propria in molti contesti.
Mentre il documento ANCI prendeva a modello l’Europa e le sue soluzioni ampiamente diffuse e consolidate (con varie sperimentazioni anche in Italia), la bozza ministeriale continua a coltivare un apparato normativo autarchico, in grado di continuare ad ostacolare lo sviluppo della ciclabilità in Italia.
Da parte di Fiab e altre associazioni e movimenti la valutazione è chiara, non ci accontentiamo di pochi progressi e molto status quo. Invitiamo anche ANCI e gli amministratori che ne fanno parte a riprendere i negoziati, non accettando soluzioni minimaliste che affossano la carica innovativa delle proposte finora avanzate.
FIAB ha inviato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti alcune prime osservazioni “tecniche” alla bozza del decreto (PDF).