Ora anche Torino ha il suo Biciplan. Il piano organico della mobilità ciclistica, dopo un lungo confronto iniziato con l’amministrazione precedente, è stato finalmente approvato dal Consiglio Comunale con 28 voti a favore e un astenuto. L’obiettivo dell’amministrazione è ambizioso: raggiungere il 15% di mobilità ciclistica entro il 2020.
Chiediamo qualche delucidazione ed impressione a Fabio Zanchetta, presidente dell’associazione Bike Pride (FIAB) e organizzatore dell’omonima parata che ha portato sulle strade del capoluogo torinese decine di migliaia di persone in bicicletta.
Com’è arrivata Torino, città dell’auto, a proporre, progettare ed approvare il BiciPlan?
Torino si vanta da anni di essere una città propositiva nei confronti delle politiche a favore della mobilità ciclabile. La realtà, quella con cui ti confronti quotidianamente pedalando per le strade urbane, racconta una verità del tutto differente.
Interventi spot di “compensazione” e totale mancanza di visione strategica hanno portato Torino ad avere decine di km di piste ciclabili inutili, scollegate, impercorribili, a volte lasciate tristemente al loro destino (di parcheggio gratuito..). Pur in dialettica con associazioni e movimenti, di uscire dalla stretta logica del conteggio dei chilometri ciclabili, non se ne parlava.
Nel 2010, sul finire dell’amministrazione Chiamparino, venne approvato il PUMS (piano urbano della mobilità “sostenibile”). Al di là dei contenuti specifichi, tutta la componente di mobilità ciclistica veniva nuovamente e nonostante tutto, trattata con il vecchio stile: “le piste ciclabili aumenteranno da 170 km a 300”. Centinaia di pagine e due cenni superficiali alla forma più efficiente di intervento per la mobilità senza alcuna forma di “visione strategica”, senza pianificazione, senza idee sulla “ciclabilità” a 360°.
Progettammo quindi un piccolo blitz negli uffici di alcuni consiglieri comunali sfruttando le competenze acquisite alle conferenze FIAB di quel periodo sulla pianificazione della mobilità ciclabile (Reggio Emilia e Lodi) e portandoci dietro il biciplan di Reggio Emilia appena redatto. All’epoca agimmo come associazione Muovi Equilibri; Bike Pride era solo un evento ed un coordinamento disomogeneo di ciclisti.
Sfruttammo il meccanismo degli emendamenti e portammo un testo già ben impostato a due consiglieri “amici”.
Nel giro di qualche settimana il testo venne approvato ed incluso al piano urbano della mobilità. L’amministrazione fu obbligata a prendersi carico di progettare un BiciPlan vero e proprio: quello presentato pochi giorni fa in sala rossa davanti al sindaco..
Cosa cambierà per Torino? Credete sia un BiciPlan tecnicamente valido?
A Torino non ci saranno rivoluzioni. Tuttavia, dopo anni di interventi a pioggia inseriti negli spazi residuali lasciati dalle auto, si dovrebbe realizzare una rete di percorsi continui e riconoscibili. Il piano prevede infatti la realizzazione di 9 direttrici radiali che collegano la periferia con il centro e quattro circolari, per connettere i diversi percorsi, con tanto di segnaletica dedicata. Queste saranno le “linee di forza” del sistema, (ispirato al biciplan di Reggio Emilia di Matteo Dondè) che si comporrà anche di interventi minori all’interno dei vari quadranti.
Tuttavia la cosa più importante, è che, al di là della realizzazione della rete di percorsi ciclabili, insufficienti da soli a creare un uso diffuso della bicicletta, il documento affronta finalmente in modo organico la ciclabilità, considerandola a tutti gli effetti come una componente essenziale della mobilità cittadina, anche, se necessario, a scapito della mobilità motorizzata.
In definitiva, possiamo concludere che il piano, nonostante qualche pecca, sembra idealmente valido; tuttavia, la sua vera consistenza ed efficacia si verificherà durante le fasi di progettazione tecnica dei singoli interventi e di effettiva realizzazione.
Quanto c’è delle associazioni in questo BiciPlan?
Tutta la parte introduttiva è frutto del lavoro delle associazioni in collaborazione con l’ufficio biciclette del comune. Ricordo addirittura di aver scritto o di aver visto scrivere, anni fa, alcune delle frasi presenti nel BiciPlan.
Si sono recepiti, finalmente, alcuni tasselli chiave della promozione della mobilità ciclabile (associazioni come Fiab – Bici e Dintorni, hanno iniziato a scavare la roccia più di vent’anni fa!): riequilibrare gli spazi significa togliere spazio alle auto, no spazi residuali, no promiscuità con i pedoni, no percorsi irriconoscibili, impercorribili o a zig zag, con tripla attesa semaforica, ciclabili non a centro strada, meglio se su ambo le carreggiate, moderazione del traffico come cardine della mobilità di quartiere, ecc..
I tecnici hanno anche risposto puntualmente alle osservazioni critiche delle associazioni e le “controdeduzioni” sono diventate parte integrante del documento finale.
In un periodo di vacche magre come pensate possa essere finanziato un piano come il biciplan?
Qui entra in scena anche il Bike Pride evento. Le 35.000 persone che hanno affollato la parata del 26 maggio scorso hanno probabilmente esortato l’amministrazione a prendere in seria considerazione la proposta che il coordinamento delle associazioni organizzatrici aveva elaborato, cioè la destinazione del 15% degli introiti delle multe già destinati alla sicurezza stradale alla realizzazione del Bici Plan. Gli assessori all’ambiente Lavolta e ai trasporti Lubatti, avevano raccolto la proposta, e bisogna riconoscerlo, insieme al presidente della Commissione ambiente Grimaldi, l’hanno appoggiata fino all’approvazione finale. Questo significa che ogni anno si dovrebbero rendere disponibili per la realizzazione del Piano dai 2 ai 4 milioni di euro, una cifra tale da permettere di completare gli interventi entro il 2020 (per un totale di circa 24 mln di euro), come previsto.
In definitiva, cambierà realmente qualcosa nella mobilità cittadina o si tratta dell’ennesima chimera?
E’ difficile da dirsi. Siamo in Italia dove si individuano i problemi, si studiano le soluzioni e pianificano gli interventi ma poi non si fa nulla. Dove il “provvisorio” diventa permanente e dove si organizzano più convegni e dibattiti che azioni ed interventi.
Se da una parte il BiciPlan può essere sostanzialmente considerato come un “piano regolatore” della mobilità su cui si potrà fare appello dall’altra potrebbe venire anche adagiato sulla pila dei libri dei sogni in un polveroso ufficio di qualche dirigente.
Lo spunto forte per un cambiamento c’è (e lo abbiamo radicalmente voluto!) ma qualche perplessità rimane.
Staremo a vedere (e a monitorare).