Cos’è il bikelash e come contrastare l’ostilità verso la bicicletta

Cos’è il bikelash e come contrastare l’ostilità verso la bicicletta

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Non ne abbiano a male i puristi della lingua italiana sentendoci parlare di bikelash, una parola che si è fatta largo nel mondo anglosassone e non solo, per descrivere un fenomeno dei nostri giorni ben conosciuto da chi pedala, ovvero la reazione avversa alla mobilità attiva che si manifesta spesso con proteste e un odio palpabile nei confronti di chi va in bicicletta, una nuvola nera che ci capita di attraversare sia in strada che nel mondo online.

Avete in mente le polemiche che si sollevano quando nelle nostre città viene inaugurata una nuova ciclabile? “Ci tolgono parcheggi!”, “Creano traffico!”. Anche questo è bikelash.

Al tema è stato dedicato parecchio spazio nell’ultima edizione di Velo-city a Danzica, durante la quale abbiamo raccolto un’intervista a Piotr Kuropatwinski, economista, esperto di politiche ciclistiche dell’Unione polacca per la mobilità attiva e vice-presidente di ECF dal 2010 al 2015, tra i protagonisti di questo dibattito. 

Il Bikelash e la minoranza rumorosa

Il termine unisce bike (bicicletta) e backlash (contraccolpo, reazione avversa). In italiano possiamo tradurlo con “resistenza alla ciclabilità”, “ostilità verso i ciclisti”, “ondata anti-ciclisti” o “rigetto verso le bici”. Si tratta di una tendenza che emerge ogni volta che si cerca di dare più spazio alla mobilità attiva, suscitando le proteste di qualcuno che si oppone (solitamente pochi ma molto “rumorosi”), a differenza di una maggioranza silenziosa e consenziente.

Il bikelash ha molti volti:

  • Narrazione tossica nei media: misure a favore della mobilità attiva e sostenibile definite ideologiche, polarizzazione della discussione (ciclisti vs automobilisti), considerazione negativa degli utenti attivi (chi è in bicicletta viene considerato per esempio come un ostacolo pericoloso o troppo povero per avere un’ auto)
  • Opposizione politica: amministrazioni che non favoriscono progetti per la mobilità attiva in nome della “libertà di movimento”, intesa come libertà di usare l’auto.
  • Controversie locali: commercianti che temono cali di clientela, spesso senza dati comprovati a sostegno.

In molti casi il bikelash nasce dalla disinformazione o dalla paura del cambiamento, rallentando quel processo promosso da realtà come FIAB che chiedono la tutela dei diritti delle persone, oltre a un maggior livello di vivibilità nei contesti urbani.

Per le strade di Danzica durante la parata in bici di Velo-city

Come contrastare il bikelash: la parola a Piotr Kuropatwinski

Come detto a Velo-city, il fenomeno del bikelash è complesso e va affrontato trasversalmente, dal punto di vista politico, culturale e sociale. Deriva da una dimensione autocentrica delle nostre città costruite appunto attorno all’auto privata, un modello consolidato negli ultimi decenni, difficile da smantellare.

Piotr Kuropatwinski ci spiega che un primo passo è studiare i principi della comunicazione non violenta. Un’ottima introduzione si trova nel libro di Marshall B. Rosenberg “Speak Peace in a World of Conflict. What You Say Next Will Change Your World”, oppure visitando il sito del centro internazionale della comunicazione non violenta che lui ha fondato: cnvc.org. Inoltre ci consiglia la lettura del libro di Thomas Harris, “Io sono OK, tu sei OK”, che introduce all’analisi transazionale (una disciplina che studia le interazioni umane). In particolare, Rosenberg contrappone due stili comunicativi attraverso la metafora del “linguaggio della giraffa” e del “linguaggio dello sciacallo”.

  • Il linguaggio della giraffa rappresenta una comunicazione empatica e connessa. La giraffa, dal grande cuore e lungo collo, simboleggia compassione e visione a lungo termine.
  • Il linguaggio dello sciacallo, invece, è caratterizzato da giudizi, accuse e pretese, che generano distanza e conflitto. Usa messaggi accusatori (“tu”), generalizzazioni e moralismi, e rappresenta un approccio aggressivo e disconnesso.

Il fenomeno del bikelash online

Parlando del bikelash online, Kuropatwinski racconta: “Dalla mia esperienza, noto che alcuni sostenitori della bicicletta usano nei commenti online espressioni denigratorie verso gli automobilisti, trattandoli come un gruppo omogeneo e ostile, cosa che non corrisponde alla realtà. Sono persone molto diverse e nei loro commenti – spesso brevi – si basano su conoscenze aneddotiche o su emozioni superficiali. Sui social media leggo spesso opinioni anti-bici da parte di autori che sostengono che, se promuovi benefici per ciclisti e pedoni, o sei troppo stupido per superare l’esame per la patente, o sei povero e non puoi permetterti un’auto. A volte vieni anche accusato di essere troppo giovane o single, quindi incapace di comprendere i problemi legati alla mobilità con bambini. L’assunto implicito è che una vita urbana dignitosa senza auto non sia possibile se hai una famiglia. La regola generale è: prima di scrivere qualsiasi commento online, informati sugli argomenti usati da chi si oppone alle politiche pro-bici. La storia della delegittimazione dei promotori della mobilità ciclabile è lunga”.

La bike parade di Velo-city e il porto di Danzica

Comunicazione e dati, fattori chiave per disinnescare il conflitto

È importante ribadire con evidenze scientifiche i benefici legati alla diffusione della mobilità attiva e alla realizzazione di infrastrutture ciclabili: riduzione del traffico, aumento del commercio locale, miglioramento della qualità dell’aria e quindi coinvolgere i cittadini con narrazioni positive.

“Molto del bikelash è diretto contro chi prende decisioni politiche locali, specialmente quando si introducono zone a traffico limitato, riduzioni di corsie o riassegnazioni di spazio urbano. Un’amministrazione ben gestita dovrebbe accompagnare questi cambiamenti con campagne informative, rivolgendosi a tutti i cittadini non completamente dipendenti dall’auto. È fondamentale mostrare i benefici anche per pedoni, persone disabili, ciclisti e pendolari – spiega Kuropatwinski.

A Danzica, la città in cui lui risiede, sono stati installati molti contatori di bicicletta in varie zone della città, seguendo l’idea che “se non ci contiamo, non saremo presi sul serio”. I dati sono pubblici e mostrano che il traffico ciclistico è cresciuto in modo costante: l’anno scorso si è registrato un aumento del 12% in 25 punti di rilevamento. Anche questo è un sistema per abbattere falsi pregiudizi e dare man forte alle richieste degli attivisti.

Flusso di di bici a Danzica

Se la ciclabilità è un bene comune, il bikelash perde forza

Fare rete con commercianti, genitori, scuole, associazioni ambientaliste, personale medico è un altro passaggio utile, perché quando la ciclabilità viene vista come un bene comune, il bikelash perde forza. Servono quindi  politiche coerenti e coraggiose per agire nell’interesse generale della salute pubblica e non proteggere solo alcune categorie, puntando alla realizzazione di infrastrutture ben fatte, per rispondere ai bisogni di tutte le persone.

La comunità ciclistica e organizzazioni come FIAB si devono muovere con consapevolezza: vanno evitate polarizzazioni e scontri tra i diversi utenti della strada, disinnescando il potenziale conflitto fra “ciclisti” e “automobilisti”, cercando di sottolineare l’importanza di storie e statistiche per rimodellare la narrativa contro chi pedala. E come ricorda Piotr davanti al pubblico di Velo-city, utilizzando la metafora di Rosenberg: “Abbi un cuore come quello di una giraffa. E ricorda, la giraffa può raggiungere luoghi che nessun altro può raggiungere”.