Fuori le auto dalle città italiane?
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di Valerio Parigi

 

Cittá della “terra dove fioriscono i limoni“, finalmente liberate dalle auto, è la radiosa prospettiva rilanciata dall’autorevolissimo e diffuso settimanale tedesco Die Zeit, un pilastro del giornalismo di quel paese, vero e proprio opinion maker nazionale. Il periodico tratta spesso dell’Italia, generalmente al di fuori dei clichè vagamente razzisti dei giornali popolari “yellow press”.

 

Il sottotitolo annuncia una “rivoluzione” del traffico, con limite 30 e piste ciclabili nelle città, e pone una interessante domanda su chi siano i propulsori di siffatte riforme.

 

Chiunque abbia provato a pedalare nel centro di una città italiana lo ha sperimentato: strombazzamenti di automoblisti che ti passano a pochi centimetri in velocità” – questo il quadro, tragicamente realistico, presentato al mezzo milione di lettori della Zeit. 

8 giorni

 

La proposta di legge ANCI potrebbe porre rimedio al desolante quadro. Secondo l’autore del reportage sostegno decisivo delle proposte sono alcune figure politiche di rilievo, per es. l’ex-sindaco di Reggio Emilia Del Rio (oggi ministro), il sindaco di Roma e il sottosegretario ai Trasporti D’Angelis, e un manovratore dietro le quinte, udite udite: FIAB, nel suo ruolo di lobby della bici

 

Entro la fine del 2014, riferisce il giornalista, dovrebbero entrare in vigore gli interventi legislativi definiti “una terapia shock per la patria dell’anarchia nel traffico“.

 

Anche in Svizzera alcuni media si interessano alle proposte ANCI, con pezzi di tenore analogo. Un contraltare all’Italia spesso vista con sarcasmo come incorreggibile paese di molti mali, fra cui il traffico soffocante e caotico. Un titolo che annuncia il nostro prossimo “passare alla bici” suscita perciò una certa attenzione, sia nelle valli alpine che nelle nostre ridenti quanto appestate terre.

 

Con compiaciuto e positivo stupore vengono riportate le proposte contenute nel recente documento ANCI sulle modifiche al codice della strada. Tutte cose già presenti nelle città Svizzere, anche esse pervenute alla ciclabilità urbana in tempi relativamente recenti, a cui sembra che l’Italia si stia allineando, con fatica e in ritardo.

 

Gli stessi commenti online all’articolo sono di apprezzamento, talvolta con la classica sfumatura “era l’ora che ci arrivassero anche gli italiani”. Per fortuna a redattori, lettori e commentatori elvetici devono essere sfuggite le reazioni isteriche di professionisti italici della penna e della cattiva informazione, per esempio sul Corriere della Sera del 12 novembre, e gli sbraitamenti degli irriducibili tossicodipendenti del motore. 

 

Una nota personale: gli eredi della stirpe Parigi, Gianluca (che vive a Berlino) e Nora (a Groningen, in Olanda) per una volta non avranno da vergognarsi del pezzo italiano della loro identità “doppia”, e anzi mi diranno “ganzo babbo, dai non mollare“.

 

Il ricco articolo su “Die Zeit” è leggibile in originale con un click.

Per l’originale della Svizzera tedesca, vedi qui.

 

L’articolo su “Die Zeit” nasce da un contatto del giornalista con Edoardo Galatola, responsabile sicurezza della FIAB, che ha fornito molte delle informazioni contenuto nel “pezzo” e che avrebbe pertanto meritato perlomeno una breve citazione. Notando con disappunto che il giornalista si è dimenticato, lo citiamo e lo ringraziamo noi per tutto il prezioso lavoro che svolge, con passione e competenza, per la sicurezza dei ciclisti e lo sviluppo della mobilità ciclistica.