Automobilisti talebani e ciclisti europei

Automobilisti talebani e ciclisti europei

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Siamo tutti pedoni, ciclisti ed automobilisti. Chi si oppone alla mobilità nuova dipinge i ciclo-attivisti come talebani. Invece sono cittadini come gli altri, ciclisti ma spesso anche automobilisti. E il modello di mobilità e città a cui si riferiscono è europeo e democratico. Illiberali e talebani appaiono invece proprio coloro che vogliono conservare città dominate dall’auto, ispirandosi a modelli da terzo mondo.

In un articolo precedente citavo quei “flame” contro i ciclisti, che spesso vengono creati ad arte sui giornali o nel web, come ultima e patetica resistenza verso la mobilità nuova che avanza.

Uno di questi consiste nel dipingere coloro che promuovono la mobilità nuova e la bici come talebani, ideologici, rompiscatole, che vogliono costringere tutti a rottamare l’auto e a pedalare. Una rappresentazione falsa ma che serve allo scopo di indebolire le nostre proposte.

Eppure i modelli ai quali Fiab si riferisce sono da sempre quelli europei più evoluti: l’Olanda, la Danimarca, la Germania, non di certo la Corea del Nord o qualche califfato. In Europa ci sono Paesi che, da almeno 30 anni, incentivano la bici e la mobilità sostenibile, e nel contempo disincentivano l’auto, per migliorare le città attraverso processi democratici e positivi riscontri.

Non sono Paesi dove si costringe il cittadino a pedalare, visto che vi circolano anche molte auto. A differenza dell’Italia, però, si è operata una redistribuzione degli spazi urbani a vantaggio di pedoni, ciclisti e mezzi pubblici. E così si permette ai cittadini di scegliere tra mezzi diversi, anche la bicicletta, con la quale ci si può recare ovunque in sicurezza. Nel contempo con lo strumento incentivi-disincentivi si rende più conveniente la mobilità sostenibile rispetto l’auto.

In questi Paesi, insomma, si è democraticamente realizzato un modello di città (per inciso, ancora in evoluzione) che in Italia qualcuno vorrebbe dipingere come irrealizzabile e tirannico. Senza rendersi conto che il vero regime illiberale e talebano vige proprio a casa nostra, dove si “costringono” i cittadini ad usare soltanto l’auto.

E la situazione, come sottolineavo è in evoluzione. Molti di questi Paesi sono orientati a disincentivare ulteriormente l’uso del mezzo privato a motore. Scelta che invece, da noi, fa paura.

Non mi sembra, francamente, che sia questo il “pericolo” che corrono gli accaniti automobilisti nostrani, visto che in Italia le auto hanno già il dominio delle città (salvo alcuni Centri Storici pedonalizzati, non adatti all’auto e molto apprezzati per lo shopping e il turismo). Da noi sarebbe già una bella conquista un riequilibro della composizione modale del traffico, dando più spazio, incentivi ed opportunità a chi vuole usare i mezzi pubblici o la bicicletta. Questo farebbe un attimo respirare le nostre città, a vantaggio di tutti, automobilisti compresi.

Insomma, chiedere la possibilità di usare la bici nelle nostre città, anzi di incentivarne l’uso, non significa pretendere che tutti debbano convertirsi al pedale. Anzi di “conversioni” non se ne parla, perchè chi si convince ad usare la bici andrà meno in auto ma, se ce l’ha, continuerà ad usarla.

Gran parte di chi usa quotidianamente la bici in città spesso possiede anche un’auto. Anche tra gli “amici delle bicicletta” c’è chi usa l’auto per andare al lavoro. Le ragioni possono essere molteplici: distanze, altimetrie, impossibilità di scelte intermodali, necessità lavorative, ecc. Così molta gente che ama la bici magari la usa solo per muoversi nei paraggi di casa, far la spesa, la domenica, in vacanza, ecc.

Altri, invece, sono riusciti ad organizzare la propria vita in maniera diversa e l’auto non ce l’hanno. Integralisti? Talebani? E perché mai!? Fortunati, piuttosto, visto che per andare al lavoro devono percorrere tragitti che possono fare in bici o con i mezzi pubblici. Furbi, magari, visto che con i soldi risparmiati si fanno dei viaggi, risparmiano, o quel che gli pare. Quando serve l’auto la noleggiano od usufruiscono del car-sharing comunale. “Talebano”, in questi casi, è chi esprime un giudizio puramente ideologico, chi ritiene non ortodossa la scelta di vivere senz’auto, che invece può essere razionale e di pura convenienza.

Quindi le scelte personali, o le possibilità di scelta, se preferite, son diverse. Non essere ideologici o confessionali significa rispettarle tutte, non farsi antipatiche “pulci” a livello personale. Unirsi piuttosto in un’associazione come FIAB, per uno scopo politico e culturale comune, per chiedere politiche a favore della mobilità ciclistica e sostenibile.

Se le politiche che chiediamo verranno attuate, molti di noi un domani, se vorranno, potranno mutare comportamenti; andare al lavoro con un treno + bici che oggi non esiste, utilizzare una ciclabile che evita percorsi oggi “mortali”, ecc.

Nella situazione attuale, in molte città, la bicicletta diventa troppo spesso la scelta dei più convinti, dei più coraggiosi o di chi, al limite, ha la fortuna di non dover fare un percorso troppo pericoloso (a causa del traffico e della velocità delle auto).

In questi anni, nonostante tutto questo, le motivazioni personali sono cresciute, e che siano economiche, sportive o salutistiche, vediamo sempre più ciclisti in città. Basterebbe un po’ di sicurezza per vederne circolare di più e rendere respirabili le nostre città. E accorgersi che, dove andare in bici è facile e sicuro, i cittadini usano la bici non per “ideologia” ma per semplice convenienza (risparmio di denaro e di tempo, soprattutto) che diventa anche un piacere (nota 1).

D’altra parte tacciare il ciclo-attivismo di essere ideologico e talebano è, palesemente, l’ultima arma spuntata di chi si rende conto di aver ormai perso la guerra. Lo dicono, ad esempio, i risultati del 2° Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile, indagine realizzata da Lifegate in collaborazione con Eumetra Monterosa, per monitorare il livello di consapevolezza, gli atteggiamenti e i comportamenti degli italiani rispetto ad un approccio di vita sostenibile.

Innanzitutto “Mobilità sostenibile” è un concetto conosciuto e saputo descrivere dal 22% degli intervistati, con un incremento del 6% rispetto al 2015. Due affermazioni dell’intervista sono le seguenti:

– “Bisogna potenziare i mezzi pubblici affinché i cittadini usino meno le auto, anche a costo di creare limiti di circolazione agli automobilisti”

– “Bisogna dedicare fondi allo sviluppo delle piste ciclabili “

Con queste frasi si è detto d’accordo rispettivamente il 96% e il 76% degli intervistati.

Quindi non si tratta di ideologia ma di indirizzi sempre più condivisi dalla cittadinanza. In difetto di serie politiche di attuazione, la stampa e la politica più retriva tentano di “sviare” i cittadini con bombardamenti mirati di stupidaggini, tipo appunto quella del “ciclista talebano”. Quando invece è un normalissimo ciclista europeo, a volte forse un po’ smarrito, altre anche arrabbiato, in un Paese che sembra guardare più al Terzo Mondo che all’Europa.

(1) Scrive Michele Mutterle, a cui ho inviato questo articolo prima di pubblicarlo: In realtà ai danesi quando gli si chiede perchè vanno in bici rispondono per l’80 % “perchè mi piace”. Quindi non possiamo ricondurre tutto agli aspetti di pura convenienza. Quando le infrastrutture e l’ambiente ci danno la possibilità andiamo almeno per il 50 % in bici. Spesso si dice che in Italia non c’è la cultura della bici e all’estero invece c’è. Facile confutare questo fatto, perchè basta prendere un italiano e farlo vivere a Copenaghen, o Berlino e immediatamente comincia ad usare la bici, pure restando della sua cultura. Quindi è chiaro che non si tratta di cultura, ma di ambiente favorevole o ostile alla bicicletta. Ad una fetta enorme della popolazione piacerebbe andare in bici (anche chi ancora non lo sa), ma attualmente non trova le condizioni per farlo o crede che non ci siano perchè chi fa le infrastrutture si rivolge ai “ciclisti” e non ai cittadini. Chi ciclista non lo è (ancora) crede che questo aspetto non lo interessi. Vedi questo articolo interessante su People for bikes su uno studio fatto in Danimarca riferito a chi in bici non ci va e cosa bisognerebbe fare per metterlo in sella.