Cicloturismo in Italia: lo strano caso del Piano Strategico del Turismo

Cicloturismo in Italia: lo strano caso del Piano Strategico del Turismo

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In Europa il turismo in bicicletta muove quasi 50 miliardi (sì, miliardi) di euro. Paesi come Germania, Austria, Francia e Svizzera investono risorse per la promozione di vacanza ecologicamente responsabili, sia progettando e realizzando infrastrutture, sia mettendo in campo politiche che facilitino l’arrivo e la permanenza dei cicloturisti.

In Italia – è vero – qualcosa si sta muovendo con l’individuazione di un sistema di ciclovie turistiche nazionali. A muoversi anche quelle Regioni che stanno realizzando e promuovendo percorsi ciclabili locali. Purtroppo, tra l’accavallarsi di competenze (a livello statale tra MIT, Ministero dell’Ambiente, Ministero dei Bene e delle Attività Culturali e fra Stato, Regioni e Province autonome), una certa confusione poi su mobilità ciclistica e cicloturismo e infine l’incertezza su chi debba occuparsene, ebbene tutto questo fa sì che le tante iniziative messe in atto, spesso, risultino poco efficaci. Se non addirittura dannose.

Veniamo al caso del Piano Strategico del Turismo, redatto dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, con una copertura da qui al 2022. Dal sito dedicato si legge che con tale piano “il Governo intende ridisegnare la programmazione in materia di economia del turismo rimettendola al centro delle politiche nazionali e dando operatività all’indirizzo strategico di creare una visione omogenea in tema di turismo e cultura“.

Un ridisegno che, sempre secondo il sito del Ministero competente, “agisce su leve fondamentali come l’innovazione tecnologica e organizzativa, la valorizzazione delle competenze, la qualità dei servizi. Tali aspetti saranno integrati con la necessità di un utilizzo sostenibile e durevole del patrimonio ambientale e culturale“. Nel documento pubblicato la parola cicloturismo compare soltanto una vita, citata “tra i nuovi tematici” da proporre per ampliare l’offerta delle destinazioni turistiche italiane.

Tra le buone pratiche vengono citati “gli interventi sulla mobilità alternativa in Toscana che interessano sia le ferrovie minori (Cecina, Saline di Volterra, La Porrettana), che la fruizione lenta del paesaggio regionale attraverso la Ciclopista dell’Arno e il Sentiero della Bonifica” (pag.66), dimenticando il Sistema della Ciclovie Turistiche, che pure lo stesso Ministero del Turismo, insieme al MIT, ha creato.

Nel paragrafo poi del “Sostegno alla strategia nazionale per i parchi, le aree protette, aree rurali e aree interne” (pag.68), il Piano raccomanda “lo sviluppo di attività sostenibili dal punto di vista ambientale, economico e sociale e l’attenzione alla riduzione degli impatti sulle risorse naturali, nonché l’individuazione di motivazioni di viaggio slow e relativa veicolazione verso target selezionati” e nel paragrafo relativo alla “Costituzione di itinerari interregionali di offerta turistica” (p.69), vengono finalmente citate, ma di sfuggita, le Ciclovie, che ritroviamo quando si parla di “Recupero e riutilizzo sostenibile dei beni demaniali a uso turistico“. Beni che appunto devono trovarsi in prossimità di ciclovie, cammini religiosi e percorsi storico-artistici.

Sempre le ciclovie vengono citate nella scheda che individua l’obiettivo B – Accrescere la competitività del sistema turistico, nell’obiettivo strategico B2 – Adeguare la rete infrastrutturale per migliorare l’accessibilità e l’intermodalità, che prevede l’elaborazione di “progetti strategici per la mobilità a fini turistici.

Lo stesso obiettivo B prevede “il miglioramento della qualità della vita e della competitività delle aree urbane e metropolitane” e ancora “la creazione di un ecosistema digitale della cultura e del turismo” che preveda di “disporre su mappa, attraverso una Travel Library, il viaggio che il turista può fare per fruire dei luoghi della Bellezza, identificando percorsi (cammini, ciclovie, etc.), integrando servizi sul percorso e svolgendo un ruolo di normalizzazione delle tipicità locali“.

Nell’esplicitazione della linea di intervento B2.2 – Progetti strategici per la mobilità ai fini turistici (ciclovie nazionali, cammini, servizi ferroviari turistici, mobilità slow) si fa riferimento alla proposta di legge C.72 che prevede la realizzazione della “Rete della mobilità dolce” realizzata attraverso il recupero e il riutilizzo di infrastrutture quali ferrovie in disuso, strade rurali o percorsi pedonali e mulattiere di rilevante interesse storico, argini, alzai di canali, altri sentieri di pianura e montagna, affermando che lo stesso schema di tali itinerari si produrrà per le ciclovie nazionali. Come se le ciclovie non fossero esse stesse reti per la mobilità e dimenticando la proposta di legge per la mobilità ciclistica ancora al palo in Parlamento.

Insomma ci saremmo aspettati qualcosa di più da una pianificazione che investirà i prossimi sei anni e che affronta il tema del turismo in bici troppo timidamente, facendosi sfuggire i fondamentali elementi di correlazione tra l’uso turistico delle due ruote e altre tipologie turistiche, quali quelle dei cammini, del turismo esperienziale, del turismo natura, dell’eco-turismo. Tutte varianti che si intersecano, e spesso coesistono all’interno della stessa idea di vacanza.

C’è tempo per rimediare? Sicuramente sì, ma forse sarebbe il caso che venga creato un gruppo di lavoro interministeriale, formato da persone competenti, che si occupi della materia ciclabilità in tutte le sue sfumature coordinandola con le altre azioni del Governo e delle Regioni, e si provveda subito all’approvazione della legge sulla mobilità ciclistica, coordinandola con la modifica del Codice della Strada e la norma sulla mobilità dolce.

Perché se la gamba destra non sa cosa fa la sinistra, pedalare è difficile. Invece di avanzare si rischia di cadere.