L’Italia non è un paese per bici, ma qualcosa sta cambiando

L’Italia non è un paese per bici, ma qualcosa sta cambiando

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Il nostro Paese è amico della bicicletta? La risposta è no, anche se  qualcosa sta cambiando.

Il tema della mobilità ciclistica è ormai all’ordine del giorno nell’agenda politica italiana e sono stati avviati diversi tavoli tecnici per elaborare una legge quadro sulla mobilità sostenibile e per riformare il Codice della Strada. Di questo si è parlato nel corso di un seminario dal titolo “La ciclabilità in Europa: come rendere un paese bike friendly“,  organizzato a Montecitorio dalla FIAB (Federazione Italiana Amici della Bicicletta) in collaborazione con il gruppo interparlamentare per la Mobilità Nuova.

In apertura del seminario la presidente dell Fiab, Giulietta Pagliaccio, ha ricordato che Fiab onlus festeggia quest’anno i suoi 25 anni di vita. “25 anni – ha detto – in cui abbiamo cercato di cambiare lo stile di vita degli italiani. Lo abbiamo fatto nel corso di un cammino faticoso e con proposte di alto livello tecnico, perché all’interno della nostra federazione operano persone con alto livello di competenza, di cui siamo orgogliosi”.

Negli ultimi anni il trend positivo della mobilità a pedali è evidente: il numero delle bici vendute e che si spostano giornalmente nelle città aumenta costantemente, mentre le strade e le regole sono ancora quelle di 50 anni fa. Anche la politica, dietro la spinta di associazioni, come Fiab e Salvaciclisti, che conducono da anni la battaglia per il cambiamento dei modelli di mobilità, sembra finalmente accorgersi – come ha osservato la vicepresidente della Camera  Marina Sereni – che “è arrivato il momento di dare risposte a quei 7 milioni di cittadini che ogni giorno si spostano in bicicletta”.  Anzi, secondo il sottosegretario ai trasporti  Erasmo De Angelis, “è in atto una ciclo-rivoluzione che dimostra come i cittadini siano molto più avanti della politica, la quale dovrebbe assecondare questo grande cambiamento culturale”.  Come? Iniziando dalla sicurezza stradale: “Negli ultimi dieci anni” – ha ribadito De Angelis –“sulle strade italiane ci sono stati 62mila morti, pari alla popolazione di una città come Siena, e nei centri urbani metà delle vittime sono pedoni e ciclisti. Al Ministero si sta lavorando su un doppio binario: da un lato la riscrittura del decreto ministeriale 557 del 1998 sulle piste ciclabili, ripensate come infrastrutture al passo con i tempi; dall’altro la Riforma del Codice della Strada con un sostanziale snellimento e una semplificazione degli articoli, partendo dal presupposto che la bicicletta è il mezzo di trasporto urbano da valorizzare. Oggi, infatti, la bicicletta rappresenta la  modernità”.

Sicurezza e adeguamento della normativa – è stato evidenziato nel corso del seminario –  sono elementi decisivi per andare incontro ad una nuova utenza che si sta imponendo sulle strade. In questo senso sono preziosi gli esempi che vengono dagli altri Paesi europei, come il Belgio,  dove il Codice della strada è il codice della via: la via è di tutti, non solo dei mezzi motorizzati. Il Codice belga introduce la responsabilità del più forte contro il più debole e prevede dal 2004 il Senso Unico Limitato, ovvero il senso unico solo per le auto e non per le bici, che quindi possono percorrere le strade in entrambi i sensi. I SUL hanno ridotto sensibilmente, soprattutto sulle strade della rete locale, il rischio di incidenti stradali. “La sicurezza di chi pedala (al contrario di quanto pensano in molti in Italia) nelle strade in cui vige il controsenso ciclabile è maggiore perché più alto è il livello di attenzione di chi guida un mezzo a motore“ ha  sottolineato  Matteo Dondé , architetto che ha disegnato la rete ciclabile di Reggio Emilia.

I tecnici che si occupano di mobilità ciclistica sono concordi nel ritenere che il controsenso ciclabile rappresenti un elemento di base per ridisegnare la viabilità urbana, consentendo ai ciclisti di prendere la via più breve. Tra le infrastrutture da ripensare per rendere una città bike friendly ci sono anche le piste ciclabili,  concepite non più come percorsi separati ma anche promiscui, soprattutto nei centri storici. Le piste devono rispondere a determinati requisiti che ne garantiscano la qualità: la velocità media di percorribilità,  la sicurezza, la comodità d’uso e l’attrattività. Ci sono le rotatorie,  le corsie preferenziali degli  autobus,  i semafori e perfino gli incroci  che devono prevedere la realizzazione di uno spazio avanzato dedicato alle bici, per dare maggiore visibilità a chi pedala, minimizzando il rischio d’incidente. Anche la possibilità, solo per le bici, di svoltare a destra quando il semaforo è rosso, è un segnale di attenzione ai nuovi utenti della strada. Un privilegio che in Italia, al contrario di quanto accade nei  Paesi europei più bike friendly, è concesso solo alle auto.

I deputati del gruppo interparlamentare per la Mobilità Nuova, guidati dall’emiliano Paolo Gandolfi (Pd) stanno lavorando anche a una bozza di legge quadro per la ciclabilità in Italia, (che potrebbe vedere la luce entro l’estate) che definirà un  sistema organico di infrastrutture, reti e  servizi per incentivare la mobilità ciclistica. Tra i punti salienti,  illustrati dai deputati Antonio Decaro (Pd) e Diego De Lorenzis (M5s),  la realizzazione di una rete nazionale di piste ciclabili (già definita dalla FIAB Bicitalia)  lunga almeno 20mila chilometri, che attraversi tutti i capoluoghi e i luoghi di importanza turistica; un piano nazionale della ciclabilità che obblighi le Regioni e gli enti locali a costruire velostazioni per il deposito e la riparazione delle bici in tutte le stazioni ferroviarie e dei bus extraurbani; un sistema di identificazione nazionale gratuito e facoltativo che, in caso di furto, permetta di risalire al proprietario di una bici rubata.

L’Italia non è ancora un paese amico delle biciclette e lo dimostra il confronto con altri paesi europei che hanno fatto della ciclabilità urbana una bandiera per il miglioramento della qualità della vita dei cittadini. Ma qualcosa, finalmente, sta cambiando: quanto meno la consapevolezza di doversi adeguare ad un modello europeo che vede l’Italia ai margini, a fronte di una nuova e spiccata  sensibilità dei cittadini verso un diverso modello di mobilità. Una consapevolezza che sta producendo i primi frutti a in sede parlamentare e ministeriale, anche per merito di alcuni Onorevoli ciclisti che hanno voluto portare all’attenzione delle massime sedi istituzionali il tema della mobilità urbana.

Il 2014 sembra essere l’anno della svolta. Le bici riusciranno a cambiare strada?