Visto che la maggioranza va in auto

Visto che la maggioranza va in auto

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Basta poco in Italia, in termini di politiche per la mobilità nuova e ciclistica, per scatenare la reazione del “partito dell’auto”.

Ultimamente, a seguito di una nota vicenda, ho letto un commento del genere: “Vorrei ricordare che la nostra non è una città fatta per sole bici, la maggioranza dei cittadini si sposta prevalentemente con automobili o mezzi a due ruote motorizzati.” Prosegue con l’augurio che il mandato dell’amministrazione “sia improntato all’ascolto vero dei bisogni dei cittadini, non sulla dittatura delle minoranze (v. pseudo comitati di ciclisti). ”

Questo intervento è illuminante. Anche a prescindere dalla vicenda a cui si riferisce. Ci fa capire quanta strada si debba ancor fare per combattere le “distorsioni” ideologiche e mentali dell’italiano medio.

Che la maggioranza dei cittadini usi l’auto per muoversi è indubbio. Non lo si può negare.

E allora? Si tratta di un fatto naturale, ineludibile? Tutti siamo nati con una testa, due braccia e due gambe .. e un’automobile sotto il culo?

E, soprattutto, tutti contenti di vivere (e far vivere i propri figli) in città così degradate? Inquinate, caotiche, sempre più invivibili, le auto che avanzano lente in eterni ingorghi, assenza di spazio per altre attività che non sia il parcheggio, incidenti con vittime specialmente tra gli utenti deboli. E tutto questo nonostante enormi investimenti di denaro per nuove infrastrutture automobilistiche (sarebbe più corretto dire, proprio per questo). Sempre meno fondi per i mezzi pubblici, anche loro imbottigliati nel traffico.

Già. Non fa breccia l’idea che il degrado sia il risultato di precise scelte politiche e urbanistiche. E, se qualcuno ha un barlume di coscienza a tal proposito, l’abitudine e la paura di cambiare poi prende il sopravvento.

In molti Paesi europei invece, proprio “visto che la maggioranza va in auto” e visti i risultati nefasti sulle città e sulla qualità della vita dei cittadini, le Amministrazioni in questi ultimi decenni hanno preso decisioni importanti. Bisogna cambiare, e bisogna farlo per tutti i cittadini, non di certo per accontentare una minoranza di ciclisti o ambientalisti “assatanati”.

Ed ecco allora, in molte città, gli innumerevoli provvedimenti per incentivare l’uso del pedalare e andare a piedi e, ovviamente, dei mezzi pubblici. Anche in combinazione tra di loro o con quelli motorizzati privati (si chiama “intermodalità”, solo in Italia vige l’idea delle “categorie”; sei ciclista, o pedone, o automobilista, o utente del mezzo pubblico). E contemporaneamente, se no sarebbe inutile, si attua il progressivo disincentivo ad usare l’auto.

Così che provvedimenti per rendere più sicure le strade, moderazione del traffico, zone 30, piste e corsie ciclabili, altri provvedimenti per favorire l’uso della bici o l’andare a piedi (sensi unici eccetto bici, semafori eccetto bici, case avanzate, attraversamenti pedonali e ciclabili sicuri, ecc.) vanno di pari passo con provvedimenti quali congestion charge, parcheggi più cari, pedonalizzazioni, ecc.

E, a questo punto va detto qualcosa anche sul concetto di “minoranza”. In molti Paesi, all’inizio di questo “percorso” di cambiamento, prima che diventassero “maggioranza”, abbiamo visto trattare i ciclisti non come una minoranza di fanatici a cui dare ogni tanto un contentino (magari ricordando, per l’occasione, quanto sono maleducati e fastidiosi) ma una potenziale risorsa per la città.

I ciclisti insomma visti non come “categoria” ma come normali cittadini che hanno scelto di usare la bicicletta (o meglio ANCHE la bicicletta), una scelta che rende migliore la città.

Insomma basta voltarsi un attimo e guardare fuori dai nostri confini per capire quanto è provinciale e limitato il commento qui riportato. Però, per carità, la democrazia è anche questo, ogni opinione è legittima (e sicuramente concetti simili li esprimeranno anche cittadini di quei Paesi che tanto ammiriamo).

Quello che ritengo invece politicamente molto grave è l’appoggio e la solidarietà a questi “richiami all’ordine costituito” da parte di chi ha responsabilità politiche e dovrebbe guardare al futuro e al miglioramento della qualità della vita della propria città

Viaggio da 30 anni per l’Europa, con occhio attento e critico, in questi ultimi anni, grazie ad internet, vedo quello che succede a Parigi, a Londra, a Bruxelles, oltre che ad Amsterdam e Copenhagen. Vedo che anche alcuni Paesi entrati da poco in Europa e magari più arretrati di noi stanno facendo passi da gigante. E devo invece constatare che il nostro Paese sulla mobilità, specialmente sulla ciclabilità urbana, è indietro, molto indietro, con la testa sempre rivolta a modelli da Terzo Mondo.