National Cycling Strategy: quanti in Europa l’hanno adottata? La mappa ECF

National Cycling Strategy: quanti in Europa l’hanno adottata? La mappa ECF

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A inventarla è stata la Danimarca nel 1990. Sono seguiti paesi come la Germania (2002) e la Repubblica Ceca (2004). Stiamo parlando della National Cycling Strategy, uno strumento politico che l’European Cyclists’ Federation – di cui FIAB fa parte – ha scelto di mappare per capire quali e quanti sono i paesi europei che l’hanno messa in pratica, messa in cantiere o, al momento, messa fuori dalla priorità. Il report è molto approfondito ed è disponibile sul sito ufficiale. Su 47 paesi analizzati – l’ECF si è allargata nell’analisi fino a Turchia e Russia – 24 non hanno mai messo mano concretamente a un piano strategico nazionale sulla mobilità ciclistica e soltanto in 13 è attualmente in vigore (anche se in alcuni casi avrebbe bisogno di aggiornamenti come in Irlanda, Scozia e perfino nella prima della classa, la Danimarca). In Italia, invece, come stanno le cose?

National Cycling Strategy: di che si tratta?

Prima di tutto la definizione: che cos’è una National Cycling Strategy? “È un piano pluriennale che stabilisce una visione globale volta a coordinare politiche, obiettivi e azioni per la mobilità ciclistica – scrive l’ECF -. Stabilisce interventi chiari, strumenti e obiettivi precisi per lo sviluppo della bicicletta a livello nazionale. In breve, una strategia nazionale per la mobilità ciclistica consolida idealmente tutte le politiche adottate a livello nazionale a sostegno della mobilità ciclistica, inviando così un segnale politico che la mobilità ciclistica è importante e che dovrebbe quindi essere sostenuta sistematicamente da autorità pubbliche, imprese, università e organizzazioni della società civile”. In pochissime parole: non interventi a spot, ma misure di ampio respiro in cui politica e istituzioni si riconoscono.

L’Italia a metà strada

Come si legge nel report dell’ECF in Italia è in fase di sviluppo e stesura la prima National Cycling Strategy. Guardando la cartina dell’Europa il nostro paese emerge proprio come un territorio a metà tra i paesi (perlopiù occidentali) dove è già in vigore uno pacchetto simile e quelli (soprattutto balcanici) dove non è mai stato neppure fatto un passo verso l’adozione di una National Cycling Strategy. Nel documento dell’European Cyclists’ Federation scopriamo anche che, dove è stata implementata, questa strategia non ha sempre la stessa durata.

Esperto Promotore Mobilità Ciclistica

Come FIAB sappiamo che non è possibile cambiare un paese in senso bike friendly in poco tempo. Vanno investiti fondi, realizzate infrastrutture, fatte scelte politiche coraggiose e, soprattutto, tutti devono fare la propria parte. Ma dicevamo, appunto, della durata: può esaurirsi negli anni del mandato di un governo (elemento di potenziale instabilità, dal momento che in caso di nuovo esecutivo ci potrebbe essere il desiderio di stoppare tutto); può spingersi fino a sette o dieci anni o addirittura 25 anni come nel caso dell’Irlanda del nord.

Italia, Serbia, Grecia e Ucraina sono i paesi in cui sono stati aperti i cantieri per applicare uno strumento simile. Tra i punti più ricorrenti di questi programmi citiamo il sostegno all’intermodalità (bici+treno per esempio), l’impegno ad aggiornare il Codice della Strada e lo sviluppo di un network ciclabile nazionale. Se guardiamo infine ai dati disponibili sulla ciclabilità in Italia emerge soprattutto che dall’ultima rilevazione (2019) soltanto il 4% degli spostamenti avviene in bicicletta. In Ungheria è al 14%, in Germania al 15%, in Danimarca e in Belgio al 12%.