I ciclisti non salveranno il mondo. Gli automobilisti, se vanno piano, magari qualche vita si

I ciclisti non salveranno il mondo. Gli automobilisti, se vanno piano, magari qualche vita si

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“Dite ai ciclisti che possono salvare il mondo anche leggermente più a destra”. Due anni fa è circolato nei social questo post. Il solito lamento-tormentone sui grupponi domenicali di ciclo-sportivi sulle strade extraurbane?

Sui “grupponi” ho già scritto in un precendente articolo (La vexata quaestio dei grupponi di ciclo-sportivi sulle strade).

Mentre, due anni fa, ho spiegato che i ciclisti urbani quando non si spostano più a destra è perchè non possono farlo. Per le auto parcheggiate in doppia fila o, abusivamente, sulla corsia ciclabile oppure per il rischio di un’improvvisa sportellata. Per non parlare di tombini, cocci di vetro e del lerciume che si trova a bordo strada. I ciclisti devono osservare il codice stradale, che prescrive la destra, ma nel contempo comportamenti prudenti.

Presi dallo “stare più a destra”, in ben pochi abbiamo colto la “trappola” di questa frase. Studiata da abili comunicatori contiene una premessa, funzionale a veicolare una ben determinata idea sui ciclisti: presuntuosi che pretendono di salvare il mondo.

E forse, anche se l’abbiamo colta, non abbiamo osato contestarla per il timore di peggiorare la situazione, cioè di sembrare così veramente presuntuosi, gente che si prende troppo sul serio, con scarso senso dell’umorismo.

Senza avvederci che questo è un altro abile trucchetto usato dai manipolatori. Tipico, ad esempio, di chi pretende di fare umorismo su certe categorie (donne, omosessuali, minoranze etniche, ecc.). L’ideologia che sottende le loro “battute” è palese, eppure ci si cade. Mentre non ridere e contestarli non è indice di scarso senso dell’umorismo ma piuttosto di coscienza civica. L’umorismo e la satira son ben altra cosa.

Emerge chiaramente, inoltre, che la frase in oggetto non poteva essere rivolta ai ciclisti sportivi che, notoriamente, pedalano per puro diletto. In realtà, a chi l’ha scritta dei “grupponi” non importava nulla. Non erano il vero obiettivo. Sono stati “usati” come pretesto per attaccare coloro che usano la bici per scelta consapevole (nota 1).

Solo una minima parte dei ciclisti in circolazione appartengono alla categoria “attivisti” o “consapevoli”, quelli cioè che, si presume, vogliano “salvare il mondo”. La maggior parte sono cittadini che usano questo mezzo perché gli conviene e/o gli piace, visto che è soprattutto un mezzo di trasporto. Alla stragrande maggioranza non passa neppure per l’anticamera del cervello l’idea di salvare qualcosa pedalando (figuriamoci il mondo!) e, molto più banalmente, si accontenterebbero di salvare la pelle.

Tuttavia i ciclisti “consapevoli” esprimono la punta di diamante di un movimento per il cambiamento delle città e degli stili di vita che qualcuno vorrebbe fermare. Come ho già scritto, una parte “conservatrice” della società ha l’interesse a rappresentarli quali “talebani”, nascondendo che si tratta di normalissimi “ciclisti europei”, cittadini che sono anche pedoni, automobilisti o utenti del mezzo pubblico.

Pertanto affermare che i ciclisti pretendano di salvare il mondo, rientra in questo bel quadretto, un falso, che li raffigura ideologici ed invasati sognatori.

Tornando a noi, è pur vero che l’entusiasmo può portarci talvolta a coniare frasi e slogan d’effetto che, a chi ci guarda dall’esterno, possono apparire annunci esaltati di attese messianiche legate all’avvento della bicicletta.

Invece, per quanto convinti che la diffusione della bicicletta possa aiutare a migliorare la nostra vita, la salute, le nostre città, siamo nel contempo perfettamente consapevoli che non è di certo la cura a tutti i mali del mondo. Non l’abbiamo mai detto e non lo pretendiamo.

Sappiamo, guardando le migliori esperienze europee, che favorire la mobilità ciclistica può contribuire a migliorare città e qualità della vita.

Dall’altra, però, sappiamo altrettanto bene che incentivare l’uso della bici è solo una delle buone pratiche necessarie per migliorare le città. La qualità della vita di una città dipende da molte scelte, spesso anch’esse legate alla sostenibilità, alla riqualificazione dell’ambiente urbano, al recupero degli spazi comuni e della socialità.

Quindi, seppur “specializzati” in ciclabilità”, ci sentiamo alleati con le associazioni, i movimenti e le istituzioni che lavorano positivamente su altri fronti, per questo comune obiettivo.

E, anche se non è poco, stiamo parlando soltanto di qualità della vita nelle nostre città. Tra questo e salvare il mondo c’è di mezzo il mare.

Se si acquisisce la cultura e la sensibilità per informarsi ed approfondire anche soltanto poche delle numerose questioni che affliggono l’umanità ed il pianeta, ci si rende conto della complessità e della portata dei problemi.

Credo sia realistico pensare che la mobilità ciclistica, se debitamente diffusa, per alcuni problemi può dare un suo valido contributo. E’ un mezzo di trasporto economico e sostenibile, contribuisce a abbassare le emissioni climalteranti, a risparmiare risorse energetiche e spese sanitarie ecc. Inoltre, e qualcuno ha proposto addirittura di assegnare alla bici il nobel, è un formidabile veicolo di comunicazione per messaggi di pace, solidarietà, tutela dell’ambiente. Può anche essere di stimolo per cercare soluzioni tecnologicamente più semplici, alla portata della gente.

Ricordandosi però che semplice non è semplicistico. E pertanto con la coscienza che ci possono essere ben altre priorità, che per affrontare e cercare di superare molti dei problemi che affliggono l’umanità, bisogna mettere in campo ben altre risorse ed energie.

A ben vedere, la pretesa che qualcuno voglia “salvare il mondo” è un sofisma, un meccanismo di “auto-difesa” inventato per esorcizzare il proprio egoismo e menefreghismo. Lo usano così per sfottere chi, in realtà, si limita anche soltanto a fare un qualcosina di concreto per renderlo un posto migliore (o anche meno peggiore, se volete, vista la degradazione progressiva dell’ambiente).

E’ evidente che, chi studia e scrive certi messaggi, come chi li condivide, non ha ritegno nel banalizzare e travisare questo impegno, perché del bene comune e del pianeta non gli interessa proprio un fico secco. Quel che conta è poter correre indisturbati sulle strade con il proprio bolide, così come farsi sempre e comunque gli affari propri.

Pertanto, se volete, questo slogan potete leggerlo anche così: “Chissenefrega dei problemi del mondo, toglietevi dalle palle e lasciateci correre”.

Invece, per un mondo migliore, più educatamente, ci permettiamo di dire agli automobilisti (che poi spesso siamo noi stessi, come ho già spiegato non solo ciclisti) che possono fare anche loro un piccolo sforzo, cominciando magari a rispettare pedoni e ciclisti (si, anche quando hanno torto!), a moderare la velocità e guidare con prudenza (anche qualche sorriso non guasterebbe).

Magari così non salveranno il mondo ma qualche vita sicuramente si.

  • (1) O meglio, “ANCHE” per questo, visto che questa scelta è notevolmente “agevolata” da vantaggi pratici e di salute psico-fisica.