La bicicletta è sempre più presente sulle strade delle città italiane, nei media e in campagne, gruppi più o meno spontanei, movimenti. Anche grandi organizzazioni del tempo libero, dello sport, dell’ambiente, del turismo etc sembrano aver scoperto questo filone che avevano largamente ignorato per molti anni.
Gli esempi si sprecano: si va dai “sensi unici eccetto bici” alle zone 30 a tappeto nelle aree urbane, dalla redistribuzione spazi stradali (per realizzare tramvie, piste ciclabili, spazi di socialità) alle varie forme di disincentivazione dell’auto e limitazioni alla circolazione, alla sosta, etc.
E la ciclabilità urbana ha a sua volta un modello consolidato ed efficace, sintetizzato dai due concetti di “separazione” e di “condivisione“ dei flussi e degli spazi urbani o viabilistici. Detto in breve, sulla viabilità principale, le grandi direttrici di scorrimento, piste ciclabili che vanno a formare su tutta la città una rete continuativa, razionale, sicura, per questo attraente ed in grado di sottrarre forti quote di spostamenti all’auto. Nel reticolo che si viene a formare all’interno della rete ciclabile (e cioè delle maggiori direttrici di traffico) zone 30 a tappeto, secondo i principi e le soluzioni della “moderazione del traffico”. Qui vige la condivisione degli spazi stradali, non solo fra mezzi a motore e bici, ma anche a vantaggio di pedoni, bambini che vanno a scuola o giocano, spazi di socialità etc.