“Sicuri in bicicletta”: la diffida di Fiab e di altre associazioni al Ministero dei Trasporti

“Sicuri in bicicletta”: la diffida di Fiab e di altre associazioni al Ministero dei Trasporti

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Compare anche Fiab tra le sette associazioni che hanno diffidato il Ministero dei Trasporti, il Ministero dell’Interno, la Federazione Ciclistica Italiana e la Fondazione AINA perché si interrompa la trasmissione della campagna pubblicitaria “Sicuri in bicicletta”, su cui la nostra presidente Giulietta Pagliaccio si era già espressa sul nostro sito.

A motivare la diffida che sette associazioni hanno mosso contro il MIT e altri attori istituzionali e non che hanno collaborato per la realizzazione dello spot “Sicuri in bicicletta”, c’è proprio la “sequela di luoghi comuni sui ciclisti”, ripresi nello spot come “soggetti fuori controllo, che devono essere educati”. Linea non soltanto in contrasto con la legislazione europea che nella Risoluzione del Parlamento Europeo del dicembre 2015 sulla mobilità urbana invita gli Stati membri e le città a facilitare gli utenti della mobilità attiva.

La campagna pubblicitaria “Sicuri in bicicletta” si scontra anche con lo spirito della nuova legge quadro sulla mobilità ciclistica, l’ultimo dei successi di Fiab. Come si legge infatti nella diffida spedita sabato scorso, lo spot presenta una comunicazione sulla bicicletta e sui ciclisti “non soltanto anacronistica, ma del tutto inefficace rispetto agli scopi che l’odierna legislazione nazionale vuole perseguire”.

Chiedendo che lo spot non venga più trasmesso, Fiab e altre associazioni come Bikeitalia.it hanno presentato diffida ai ministeri perché “si astengano dal diffondere nelle scuole” proprio i contenuti suggeriti dalla campagna “Sicuri in bicicletta”. Perché sono i dati a parlare: quelli presentati da Fiab nel documento dicono che “l’80% degli incidenti ai ciclisti è causato da un’auto e il 70% di questi ha esiti che nessun casco avrebbe evitato”.

Già, il casco. Perché nello spot in onda da pochi giorni si presenta l’indossare il casco come un comportamento obbligatorio per i bambini. “Far credere o indurre lo spettatore – si legge nella diffida – che i ciclisti stiano violando le regole del Codice della Strada, quando in realtà non è così, è altamente lesivo della libertà individuale e dignità di ogni ciclista”.