Strade chiuse alle auto? La temuta Apocalisse non arriva

Strade chiuse alle auto? La temuta Apocalisse non arriva

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“Non siamo mica l’Olanda”: ci abbiamo fatto l’abitudine alle banalizzazioni che fanno di ciclabili, biciclette e moderazione del traffico una questione per pochi Paesi virtuosi. Come se servisse una formula magica per ricreare una città più vivibile e non piuttosto un impegno serio da parte della politica. Lo stesso che a New York ha portato alla chiusura della 14esima strada. Siamo a Manhattan e l’amministrazione ha scelto di non far passare più le auto, avviando una sperimentazione che durerà ben 18 mesi e che ha lo scopo di rendere più veloci gli spostamenti dei mezzi pubblici, usati su quella direttrice da decine di migliaia di pendolari al giorno.

L’idea di ridistribuire lo spazio cittadino è una delle battaglie che da anni FIAB porta avanti. La questione dello spazio pubblico da restituire ai cittadini e agli utenti della mobilità attiva è di primaria importanza non soltanto per la sicurezza – i morti per incidenti stradali tra pedoni e ciclisti sono una emergenza nazionale – ma anche per lo sviluppo urbano e il commercio. In altre parole, non arriva l’Apocalisse se un sindaco decide di rendere un po’ meno conveniente l’utilizzo dell’automobile a vantaggio di altri mezzi di trasporto. Molte persone scoprirebbero infatti che in bici o con i mezzi pubblici arriverebbero prima a destinazione (e con il portafoglio più pesante).

L’esempio di New York che chiude la 14esima strada alle auto dovrebbe già convincere una buona fetta di persone: se prima i viaggi sul bus M14 duravano poco più di mezz’ora, senza più macchine si concludono in soli 21 minuti. Certo, vietare il passaggio alle auto non è una condizione sufficiente: come ricorda un articolo del New York Times, la Grande Mela deve ancora fare i conti con un trasporto pubblico non sempre efficiente e puntuale.

Ma il fatto che una metropoli di quelle dimensioni sia disposta a scontentare svariate migliaia di automobilisti per cambiare il volto della città e l’aria che respirano i cittadini dovrebbe da una parte incoraggiare le amministrazioni italiane, e dall’altra tranquillizzare chi pensa che senza auto non ci sia futuro. Tornando in Europa, una delle grandi città che sta lavorando in questa direzione è Parigi, la cui sindaca, Anne Hidalgo, ha apprezzato la sperimentazione di New York.

Sono anni che la capitale francese porta avanti progetti per ridare centralità ai cittadini e al verde pubblico. Nel 2016 il Comune ha approvato un piano per rimodellare sette piazze e dare il 50% di spazio in più a pedoni e ciclisti. E non piazze periferiche: ci sono Place de la Bastille e Place de la Nation per esempio. La sindaca Hidalgo è riuscita anche a pedonalizzare diverse vie lungo la Senna, rendendo il lungo fiume ciclabile e pedonale.

I numeri dicono che Parigi vanta il triste primato di avere sul proprio territorio l’autostrada urbana più trafficata d’Europa, la circonvallazione “Boulevard Périphérique”, su cui viaggia ogni giorno una mandria a motore di 270mila automobili. Eppure lo scorso anno la capitale francese è riuscita a ridurre il traffico dei mezzi privati del 5%, anche grazie all’irrigidimento della Zones à Circulation Restreinte, la cui regolamentazione ha ristretto negli anni le categorie di veicoli che potevano entrare nelle aree più centrali della metropoli.

Come New York e Parigi, anche un’altra grande città come Barcellona ha avviato progetti e sperimentazioni per vietare l’ingresso alle auto in alcune parti del territorio urbano. La capitale catalana si è inventata i Superblock, interi quartieri – ne esistono già sei, ma potrebbero salire a 503 – dove nessuna macchina può entrare. Se l’amministrazione di Ada Colau e le prossime riuscissero a inaugurarle tutte quante non solo ci sarebbero 667 morti in meno per smog ogni anno – la fonte è il Barcellona Institute for Global Health – ma i viaggi settimanali in automobile crollerebbero dagli 1,19 milioni attuali a 230mila.

Insomma, diverse metropoli stanno già ottenendo risultati in contesti cittadini complessi ed estesi, nei quali sarebbe ragionevole temere problemi e conseguenze difficili da gestire a causa delle dimensioni delle città e del numero enorme di cittadini che utilizzano quelle vie. Eppure – ribadiamo – l’Apocalisse non è avvenuta, il traffico non impazzisce. Anzi, cala vistosamente e i cittadini sono più contenti.

Questo dovrebbe convincere le tante (e ben più piccole) città italiane a investire sulla ciclabilità diffusa, la riduzione del traffico, il miglioramento del trasporto pubblico locale, le pedonalizzazioni, lavorando insomma a favore della mobilità attiva. I benefici non tarderebbero ad arrivare e sarebbero numerosi.