Con il VEN.TO. nelle VE.LE. Ma per una buona pesca servono le RETI
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di Raffaele Di Marcello

 

Raffaele Di Marcello, promotore di Ve.Le. e delegato regionale della Società Italiana di Scienze del Turismo, interviene nel dibattito su Ven.To.

 

“Bene proporre e pubblicizzare progetti di ciclovie (e tanti ne ha prodotti anche FIAB), ma è urgente, e non più differibile, che il Governo e il Parlamento si rileggano la famosa delibera CIPE e decidano di individuare la rete della mobilità ciclistica nazionale sulla base dello studio Bicitalia

 

In risposta agli articoli ControVento di Stefano GerosaContro i mulini a VenTo di Paolo PinzutiVento, Fiab ed inesattezze di Antonio Dalla Venezia, Son di Fiab e preferisco pedalare a favor di Vento diValerio Montieri.

 

Ho letto con interesse il dibatto che, sul sito FIAB, si è acceso sul progetto VEN.TO., il progetto di ciclovia che dovrebbe collegare Venezia con Torino, ricalcando l’itinerario n.2 di Bicictalia che, a sua volta, ricalca l’itinerario n. 8 di Eurovelo.

 

Ho avuto modo di conoscere il prof. Pileri in occasione della presentazione di un altro progetto, che mi ha visto come promotore, chiamato VE.LE. (Venezia-Lecce), esperienza che, a dispetto del termine (progetto, infatti, evoca nei più, l’idea della realizzazione di qualcosa di fisico, come un progetto di una casa, o di una strada, ecc.), era un esperimento di animazione sociale che non si voleva, e non si vuole, sostituire alle previsioni della rete Bicitalia, ma aveva lo scopo di sondare l’interesse che, in ambito locale  e nazionale, l’evocazione di una ciclovia costiera potesse suscitare. (se qualcuno ne ha voglia, può approfondire VE.LE.)

 

Dico subito, come socio FIAB, ma anche come socio di altre associazioni nazionali (Touring Club, WWF, Società Italiana di Scienze del Turismo, ecc.), e occupandomi professionalmente di pianificazione territoriale e sviluppo locale, che personalmente sono contento quando vedo altri soggetti, anche al di fuori della Federazione Italiana Amici della Bicicletta, occuparsi di ciclabilità. In fondo il nostro scopo è quello di promuovere, a tutti i livelli, la cultura dell’andare in bicicletta.

 

D’altra parte, in Italia, anche a livello istituzionale, non si comprende bene chi deve occuparsi della mobilità ciclistica e del cicloturismo: il potere legislativo è suddiviso tra Stato e Regioni (e Province autonome di Trento e Bolzano), e in base all’art. 117 della Costituzione tutte le materie non espressamente indicate come “esclusive”, cioè di competenza del solo Stato, sono “concorrenti”, cioè di competenza sia dello Stato (che determina, con proprie norme, le linee fondamentali in materia) che delle Regioni e Province autonome, o “residuali”, cioè di competenza delle sole Regioni e Province autonome.

 

Per quanto riguarda la mobilità ciclistica, nelle sue varie forme, la stessa può essere considerata materia attinente all’ambiente, alla salute, alle infrastrutture, alla mobilità, al turismo, allo sport, ecc., e quindi aumenta la confusione su chi, in ambito istituzionale, se ne debba occupare (e tale confusione fa si che, spesso, non se ne occupi nessuno, o che occupandosene in troppi non si giunga mai a qualcosa di concreto).

 

E così capita che in Parlamento, ad ogni legislatura, giacciano un paio, od anche più, proposte di leggi nazionali sulla mobilità ciclistica, o modifiche del codice della strada in materia di circolazione dei “velocipedi”, o ancora norme contro i furti e via dicendo. E capita anche che ogni Regione sia pienamente legittimata ad approvarsi la sua legge sulla mobilità ciclistica (sulla cui attuazione, però, dovremmo spendere più di qualche riga), e in base a quella a dotarsi di una sua rete ciclabile regionale (quando va bene), considerando, o meno, la rete nazionale Bicitalia che, ricordiamo, in barba alla famosa e molto citata Delibera CIPE n. 1 del 01/02/2001, relativa al “Piano generale dei trasporti e della logistica” (dove si impegnava il Ministro dell’allora dicastero dei Trasporti e della Navigazione a sviluppare e a sottoporre a questo Comitato un apposito studio sulla fattibilità di una rete di percorribilità ciclistica nazionale, finalizzata principalmente all’incentivazione di forme di turismo sostenibile, con particolare riguardo alle zone ad elevata naturalità, definendone le relazioni con le altre reti e servizi di trasporto, le modalità di integrazione, i costi e le modalità di gestione...) portò ad uno studio di fattibilità redatto da Gallimbeni e Pedroni, della FIAB, studio che, evidentemente, i ministri che si sono succeduti da 14 anni a questa parte, non hanno mai visto o hanno dimenticato.

 

Giungo quindi al punto: è un bene che chiunque ne abbia voglia, tempo, e competenze, si alzi una mattina e proponga una ciclovia di interesse locale o nazionale, o una rete comunale di percorsi ciclabili, o una rete ciclabile regionale? Oppure dobbiamo attendere che, finalmente, il Governo si svegli e capisca che i percorsi ciclabili, come d’altra parte ben specifica il Codice della Strada, sono “strade” a tutti gli effetti, e come tali vanno pianificate, prima ancora che progettate, soprattutto se sono di ambito sovraregionale e/o di interesse internazionale?

 

Altrove, in Paesi europei ed extraeuropei, la necessità di pianificare i percorsi prima ancora di realizzarli sull’emotività del momento (o sulla disponibilità economica presente di volta in volta, o, peggio ancora, in vista della scadenza elettorale di turno). Per approfondire cosa si fa altrove vi rimando ad un piccolo studio sulle reti ciclabili europee, visionabile gratuitamente qui.

 

In Italia, a mio avviso, manca la cultura della pianificazione; un progetto, con tanto di dati economici, km realizzabili, benefici per le popolazioni e indotto turistico, fa molta notizia (ed è bravo chi riesce a pubblicizzarlo negli uffici “giusti” e sulle riviste “in”); la pianificazione di una rete, sulla quale poi impostare programmazioni economiche e politiche di sviluppo, investimenti e priorità, soprattutto se viene tenuta all’interno di gruppi ristretti e poco pubblicizzata tra le istituzioni, fa molto meno notizia, anche se, in realtà, il pianificare dovrebbe sempre precedere il progettare.

 

Quindi, (ma, ripeto, è la mia modesta opinione), bene proporre e pubblicizzare progetti di ciclovie (e tanti ne ha prodotti anche FIAB), ma è urgente, e non più differibile, che il Governo e il Parlamento si rileggano la famosa delibera CIPE e decidano, nell’ambito delle loro competenze, di individuare la rete della mobilità ciclistica nazionale sulla base dello studio Bicitalia (che può essere senza dubbio implementato e migliorato, ma che ad oggi è l’unico studio di una rete ciclabile italiana).

 

Ma c’è di più: la ciclabilità non è fatta di sole infrastrutture. Una rete di percorsi ciclabili continua, sicura, ben attrezzata, da sola, purtroppo, non basta. Occorre mettere mano a politiche di sensibilizzazione; va modificato il codice della strada; le politiche della mobilità ciclistica vanno integrate con quelle urbanistiche e di pianificazione territoriale, con la pianificazione dei tempi e degli orari delle città, con le politiche del turismo, con la tutela ambientale, con il trasporto pubblico locale, con il trasporto ferroviario, con le altre infrastrutturazioni per la mobilità, con le azioni per la logistica e il trasporto merci, ecc., ecc., ecc.

 

Insomma, da fare ce n’è, ma se non si parte da una visione ampia, e condivisa con tutti i “portatori di interesse”, rischiamo, tra qualche anno, ancora di stare a parlare di qualche decina di km di pista ciclabile, magari ben fatta, magari suggestiva, magari appellabile come “la più lunga d’Italia”, che rimarrà, però, sempre e purtroppo un episodio isolato, destinato a non aver quel valore che solo una rete, di persone prima ancora che di infrastrutture, potrà creare.

 

 

NDR: Precisiamo che questo è l’ultimo articolo che pubblichiamo su questo dibattito. Quelli che ci perverranno verranno rifiutati, perchè  tutto quel che c’era da dire è stato detto, tutti si son fatti un’opinione e, soprattutto, non vogliamo stancare chi ci segue.