di Edoardo Galatola
Responsabile sicurezza e ufficio legislativo FIAB
È uscito il nuovo rapporto ACI-ISTAT sugli incidenti stradali aggiornati al 2013. Il rapporto fornisce peculiarità e linee di tendenza della sicurezza stradale in Italia. Nella pubblicazione ci sono nuove chiavi di lettura (ad es. viene fornito il dato di incidentalità dei principali comuni italiani), ma anche informazioni di dettaglio omesse (ad es. la distribuzione regionale degli incidenti per tipo di veicolo). È quindi necessario poter avere maggiore accesso ai dati per poterli interpretare correttamente.
Complessivamente si è confermata una riduzione di incidenti e morti sulle strade, anche se con meno intensità del passato. È stato raggiunto il dimezzamento delle morti rispetto al 2001 (-53%) con tre anni di ritardo. Ma sottolineare questo aspetto (relativo alle richieste del terzo programma quadro 2001-2010 della Comunità europea) come fa l’analisi ACI ISTAT 2013 significa dimenticare che è già in atto il quarto programma quadro 2011-2020 con nuovi obiettivi da raggiungere.
Sempre restando sulla riduzione conseguita rispetto al 2001 si nota che il dato è sbilanciato verso le quattro ruote (-59%, dimezzamento abbondantemente superato) a scapito dell’utenza vulnerabile (-41% pedoni, -23% ciclisti, – 46% motociclisti). I morti complessivi dell’utenza vulnerabile sono pari a quelli delle quattro ruote a motore (leggermente meno) a fronte di un modal split ancora fortemente sbilanciato verso le auto.
È da sottolineare una significativa riduzione della mortalità dei ciclisti (- 14% rispetto al 2012) con il valore più basso degli ultimi 15 anni (251), a fronte di una costante crescita della mobilità ciclistica. Questo dato conferma che l’aumento di ciclisti comporta una maggior sicurezza di spostamento e non il contrario (safety in numbers). A maggior ragione si è ridotta l’incidentalità per km percorso. Analoga riduzione per i motociclisti, mentre il numero dei decessi tra i pedoni si è ridotto, ma di poco. Anche il dato dei feriti tra i ciclisti, costantemente aumentato negli anni passati, per la prima volta si è stabilizzato.
La riduzione di incidenti e morti dell’ultimo anno è da ascrivere per il secondo anno consecutivo anche alle strade urbane, oltre che alle extraurbane ed autostrade (essenzialmente per le quattro ruote a motore e, parzialmente, per le due ruote a motore), ma i morti in città in Italia sono passati solo dal 45% (dato 2011) al 42% del totale (dato 2013), mentre la media europea è al 33%. Ciò è strettamente collegato al fatto che l’84% delle vittime in città è da ricondurre all’utenza vulnerabile. (50% per l’utenza non motorizzata). Le politiche di sicurezza urbana e quelle di tutela di ciclisti, pedoni e motociclisti sono quindi quelle su cui occorre intervenire con priorità e urgenza, per diminuire il divario con le altre grandi città europee e come chiesto tra gli obiettivi prioritari del 4° programma quadro.
Associando il dato della riduzione del numero minore di vittime in bici al fatto che il numero delle due ruote a pedali coinvolte in incidenti resta fisso intorno al 5% di tutti i veicoli coinvolti in incidenti stradali, si può arguire che siamo di fronte ad un effetto prevalentemente autoindotto, e non al risultato di politiche strutturali.
È possibile inoltre affermare che il numero di incidenti gravi ai ciclisti (in particolar modo i decessi) è inversamente proporzionale alla composizione modale ciclistica (più ciclisti, meno morti, secondo il principio di safety in numbers), mentre il numero di incidenti complessivo tra i ciclisti è funzione dell’efficacia delle politiche di mobilità sostenibile messe in atto (ad es.: traffico urbano organizzato con misure che hanno ridotto la circolazione e la velocità delle auto, introdotto forme di mobilità condivisa, trasporto pubblico potenziato, rete ciclabile protetta).
Analizzando ad esempio i dati forniti per grandi comuni è possibile osservare che:
- a Milano le biciclette coinvolte sono ben 1.176 su 17.748 su scala nazionale (il 6,7%) mentre le vittime sono 5 su 251 (l’1,9%), ovvero alta incidentalità (per mancanza di politiche adeguate di mobilità sostenibile a fronte di un aumento dei ciclisti) ma bassa pericolosità (per l’aumento dei ciclisti stessi)
- a Roma, dove la mobilità ciclistica è sicuramente inferiore, gli incidenti ai ciclisti sono solo l’1,3% sul totale nazionale, ma quelli mortali sono ben l’8%; ovvero in questo caso ci troviamo difronte a bassa incidentalità, ma alta pericolosità
- a Bologna, caratterizzata da ciclabilità molto più elevata e politiche più avanzate di mobilità sostenibile, gli incidenti, in rapporto alla popolazione, sono stati la metà di quelli di Milano, mentre l’indice di mortalità è lo stesso (2 morti nel 2013); quindi trattasi di bassa incidentalità e bassa pericolosità.
Tutte queste considerazioni vanno nella stessa direzione: necessità di implementazione del 4° programma quadro (2011-2020) della Comunità Europea, modifica del Codice della Strada, interventi a favore della sicurezza dell’utenza vulnerabile, incentivazione della mobilità non motorizzata, definizione di obiettivi su scala locale, promozione della raccolta e diffusione dati (su incidentalità, modal split e politiche attuate). In poche parole 20-20-20 come obiettivo della percentuale di spostamenti in bici, a piedi e con TPL.
Edoardo Galatola
Responsabile sicurezza e ufficio legislativo FIAB
edoardo.galatola@fiab-onlus.it