“Contro il logorio della vita moderna” recitava un geniale spot degli anni ’60 con Ernesto Calindri. Un tavolino in mezzo al traffico e il famoso attore che leggeva tranquillo il giornale sorbendosi, con gusto, un bicchiere di Cynar. Già da allora, il logorio era rappresentato dalle auto.
Il Cynar è stato un anticipatore. Oggi tutti ci propongono rimedi per questo logorio. Per conviverci, ben inteso; conta vendere il rimedio – o supposto tale – non tanto rimuoverne le cause.
E così giù merendine naturali, acque della salute, integratori, cure rilassanti, corsi di meditazione, e chi più ne ha più ne metta. Insomma tante, troppe pilloline “ecologiche”.
Ammesso, e non sempre concesso, che i vari Cynar siano una valida soluzione di “difesa personale”, non posso far a meno di giudicare questa “presa di coscienza” un po’ ipocrita e pilatesca. Qualcosa sta avvelenando il mondo? Ok, ne prendo atto e mi limito ad assumere un contro-veleno, senza muovere un dito per cambiare veramente le cose (chissenefrega).
E, diciamocelo, per molti la bici è soltanto questo: un bel rimedio per la propria salute psico-fisica, minata da un “sistema” che, comunque, non si mette in discussione.
Per carità, è un’ottima cosa che ci si preoccupi della propria salute e si capisca che l’uso della bicicletta può essere parte integrante di uno stile di vita più sano.
Credo però sia necessario un salto di qualità. Sempre se ci interessa migliorare l’ambiente e la salute, andando alla radice dei problemi, piuttosto che vendere più biciclette (nota 1).
La “bici-cynar” allora, per buona e salutare che sia, non ci basta. Serve indicare con chiarezza le cause del logorio e proporre rimedi. Cause che stanno principalmente in una politica della mobilità incentrata sull’auto e che non concepisce l’idea di privilegiare altre forme di mobilità.
La mobilità auto-centrica, da quando si è imposta, ha progressivamente sottratto alle strade urbane il ruolo di spazio comune, trasformandole in autopiste e parcheggio.
In questo senso, in un’ulteriore chiave interpretativa, la pubblicità del Cynar è stata ancor più rivoluzionaria. Se non sapessimo che è degli anni ’60, con quel tavolino in mezzo alla strada, potremmo scambiare lo spot per una manifestazione di quei più recenti movimenti, specialmente americani, che rivendicano la trasformazione multiuso delle strade, anche organizzando aperitivi e picnic sui parcheggi o in mezzo alla carreggiata, mettendoci tavolini e sedie, vasi con piante ed aiuole rimovibili. Movimenti passati da tempo da queste manifestazioni “pittoresche” al mettere insieme progettisti, architetti e urbanisti, avanzare progetti e vederli realizzati. La riconquista degli spazi comuni, sia chiaro, non è un’utopia o un sogno ma è già concretamente in atto.
Da questo punto di vista però il clima culturale del nostro Paese è profondamente “corrotto”. Corrotto? Si. Stavo scrivendo “arretrato” ma sarebbe sbagliato, perchè se la riqualificazione delle strade quale spazio comune è, nei Paesi più avanzati, il frutto di innovative trasformazioni urbane, pur sempre si tratta di un recupero della loro funzione storica, quale luogo non solo di transito ma anche di incontro, di scambio, di gioco, ecc. E, pertanto, in qualche Paese rimasto particolarmente “arretrato”, dove le strade fossero da sempre multifunzionali e l’auto costretta a passo d’uomo, più che di innovazione bisognerebbe parlare di “conservazione” dell’esistente.
E’ giusto pertanto dire che il nostro Paese è “corrotto” dall’idolatria per l’auto che, per carità, giusto abbia i suoi spazi di scorrimento e sosta, ma qui si è presa veramente tutto mal tollerando gli si porti via un’unghia, con sceneggiate politiche degne del miglior teatro dell’opera ad ogni nuovo tentativo di pedonalizzazione, di nuova ciclabile o minimo provvedimento di restituzione agli esseri umani di una “fettina” di spazio urbano.
Per noi promuovere la bicicletta non può essere soltanto l’indicare uno stile di vita salutare e una mobilità “nuova”, magari per togliere un po’ di traffico e di inquinamento (anche se tutto questo è già qualcosa di buono), ma proporre una città diversa, immaginare una ridefinizione degli spazi, per muoversi diversamente ma anche per restituire alla socialità quel che l’auto ha sottratto.
E’ soprattutto una battaglia culturale, ed è molto difficile perché, da quando l’industria dell’auto si è imposta, fin da bambini ci inculcano l’idea che le strade esistono solo per i veicoli. Pertanto a molti l’amaro va di traverso alla sola idea che quel tavolino del Cynar in mezzo alla strada qualcuno possa mettercelo veramente.
E, probabilmente, molti ce l’hanno con noi ciclisti perché ci identificano con quel tavolino, in mezzo alla strada soltanto per gustarci un piacere: pedaliamo sulle strade soltanto per noi stessi, perché arriviamo prima, ci fa bene, ci piace! Che affronto!
Insomma il nostro problema, a questo punto, non è tanto far capire che la bicicletta è bella e fa bene, questo è talmente ovvio che lo capisce anche un bambino. E’ far capire invece che è auspicabile, per tutti, che le strade si riempiano di quei tavolini e che la gente vi si possa sedere per il puro gusto di bersi un Cynar senza, finalmente, nessun “logorio della vita moderna” da sconfiggere.
Sono le città e la nostra qualità della vita che devono cambiare. Ed è solo se si capisce questo che si può capire perché chiediamo alla politica di privilegiare l’uso della bicicletta.
Privilegiare la bicicletta non tanto per dire, ma nel suo più ampio e vero significato del termine. Servono provvedimenti e infrastrutture in modo che il ciclista diventi un privilegiato rispetto agli altri mezzi privati a motore; gli si diano vantaggi e prerogative tali da far diventare la mobilità ciclistica sempre più attrattiva. Ed è quel che si fa normalmente in molti paesi europei, dove i cittadini scelgono la bici non per eroismo – o strane propensioni genetiche – ma per gli indubbi vantaggi a loro accordati (che si sommano ai tanti che già la bici fornisce di per se stessa).
In questo senso non posso essere d’accordo con chi pretende “uguali diritti e doveri sulla strada per auto e bici!”. No, invece, più diritti alle biciclette e meno spazio per le auto, sia chiaro.
Ma questo può avvenire solo nell’ottica di una trasformazione delle città, ove il recupero delle strade come spazio comune diventi elemento culturale fondante e la bicicletta non sia vista soltanto come un mezzo per combattere un po’ di logorio.
Poi, lo sappiamo, ai nostri “corrotti” auto-dipendenti italiani, sempre a rimproverarci che “i ciclisti dovrebbero ..”, viene un coccolone ogni qual volta vengono a sapere dei privilegi di cui le bici godono in molti Paesi d’Oltralpe. E così, poverini, masticano amaro; un buon Cynar sarebbe meglio.
Nota dell’autore: sia chiaro a tutti che non ce l’ho con il Cynar, anzi è un amaro che mi piace e che ho tirato in ballo soltanto perchè la sua famosa pubblicità mi permetteva di aprire un ragionamento. Questo anche per dire che, se la casa produttrice del famoso amaro leggesse questo articolo, non mi mandi a casa una lettera dell’avvocato ma piuttosto uno scatolone di bottiglie (per tutta la pubblicità gratis che gli faccio). 🙂
(nota 1) Anche se indubbiamente l’aumento delle vendite di biciclette è un effetto delle politiche che noi proponiamo, cosa che dovrebbe far riflettere chi le produce e le vende.